Si sente spesso parlare di animali del palcoscenico.
Ci si riferisce a grandi artisti, nei vari ambiti, che riescono a monopolizzare l’attenzione del pubblico.
Credo che questa non sia la definizione più giusta.
Abbiamo assistito ad autentiche profanazioni di carriere faticosamente costruite in nome dell’amore proclamato per il pubblico, della passione per il palcoscenico, del sacro fuoco.
Domingo che si esibisce senza voce o che dirige svogliato e viene contestato dai musicisti non è un animale del palcoscenico.
Potrebbe essere un signore che non si è accorto del tempo che passa; un autoritario protagonista che non si rassegna a lasciare il posto a cantanti che abbiano un terzo dei suoi anni; un ostinato amministratore della propria immagine che ha deciso di vendere ogni centimetro della popolarità guadagnata con impegno e dedizione; forse la vittima di un gioco più grande di lui; forse un uomo disperato che teme l’oblio.
Certamente non è un animale da palcoscenico.
Non si pensi che con questa descrizione è ovvio che non lo sia, perché in realtà queste parole sono perfettamente adatte ad uno dei più grandi animali del palcoscenico mai apparsi in Italia: Wanda Osiris, attrice non spettacolare, cantante dalla voce impercettibile, dimenticabile ballerina. Ma anche donna coraggiosa, modernissima, capocomico di una compagnia di varietà, ragazza madre in un tempo di moralismo di facciata e facili etichette, pronta a spendere tutti i guadagni per profumare le rose o cambiare i costumi se non le piacevano, capace di combattere per i diritti dell’ultimo dei comprimari.
Un concentrato magico di carisma e passione, di maniera ed ironia.
Un vero animale da palcoscenico, che ha condizionato molto più di quello che si pensa di solito, il divismo degli anni Cinquanta/Sessanta delle regine del palcoscenico lirico.
Non è stata, secondo me, invece, una grande come la Horne.
Brava, bravissima, ma lo strumento, la tecnica, hanno avuto il sopravvento sull’interprete. Potevi ascoltarla ad occhi chiusi. Forse era persino meglio, senza dover vedere una signora simpatica che si muoveva con l’agilità di un pupo siciliano, quasi mai credibile nella parte e con una gamma di espressioni e gesti che potevi contare su alcune dita di una mano.
Secondo me i veri animali da palcoscenico sono altro: una sorta di raro felino, una specie di tigre che vive nell’ombra ed appare in tutto il suo fulgore quando e dove vuole.
Irrompe sulla scena, all’improvviso.
Quando ha deciso di farsi vedere, non riesci a guardare altro che i suoi movimenti, ora suadenti, ora aggressivi, magnetica e padrona della scena.
Questo non ha nulla a che fare con l’essere un grande interprete.
Anzi, alle volte gli animali di scena sono un po’ barocchi, sicuramente gigioni, fanno un sacco di cose che da altri non accetteresti, mettendo in tavola tutta la loro carriera in modo che tu non ti permetta di discutere o dissentire da come si presentano.
Ma possono farlo, perché ti hanno soggiogato. Sono incontri rari, rarissimi.
Solo quando ne hai incontrato uno, capisci che quelli che tu avevi ipotizzato tali, in realtà sono linci, leoni, leopardi.
Tutte fiere magnifiche, esaltanti, ma non tigri.
A me ne vengono in mente due, che vidi sul palcoscenico ma che mi guardai bene dall’incontrare di persona, perché davanti a creature del genere è determinante una rispettosa distanza.
Per loro e per noi.
La tangibilità rischierebbe di smitizzare gli idoli e sarebbe un dolore per entrambi.
Nel teatro di prosa una vera ‘animalessa’ era Paola Borboni.
L’ho vista, nel 1981, vecchia e malconcia dopo l’incidente automobilistico, in ‘Spirito Allegro’.
Era una commedia ben confezionata, costruita sicuramente per fare cassetta, ma con un garbo, una eleganza ed una misura che rendevano l’operazione assolutamente meritoria di stima ed attenzione.
La compagnia era quella di due grandi del teatro: Aroldo Tieri e Giuliana Lojodice, affiatati, brillanti, misurati, abilissimi, ai quali si affiancava l’elegante Grazia Maria Spina.
Ma la protagonista della serata, anche se la parte non era quella principale, era lei: Paola Borboni, che non stava quasi neanche in piedi per i postumi dello schianto, ma che entrava in scena in bicicletta.
Vecchia e traballante, ma con borsetta, visiera e, scesa dal velocipide, stampelle.
Era incredibile, nel senso che a lei non importava rendere credibile la parte della medium che interpretava: era li per dire che non si era arresa, faceva se stessa che recitava, infarcendo la parte di tutti quei birignao che utilizzava ad ogni intervista, in ogni passaggio televisivo e che rendevano ancora più inverosimile una piece che contava su una quarantina d’anni di successo in tutto il mondo.
Sarebbe stata odiosa, se non fosse stata lei.
Un secondo dopo che era arrivata in scena, non c’era più nessuno, nonostante il palcoscenico fosse affollatissimo.
Amaliava la platea con quel suo sguardo da vecchia maliarda, con quegli ammiccamenti al limite del profano, con quel suo ciondolare zoppo, che ostentava, felice di mettere a nudo, non le sue forme, grazie al cielo, ma il suo bisogno tenace di essere attrice.
Quando usciva dal palcoscenico, il lavoro ritornava piacevole, elegante, collettivo.
Al rientro si trasformava in un monologo, compiaciutamente eccessivo, con partecipazioni esterne di bravi colleghi irrimediabilmente all’ombra, una strana forma di rapperesentazione che smette di essere commedia per divenire rito.
Grande incontro con un gigante, che smessa la parte diventava una vecchina storpia, ma sempre indomita.
Per l’opera, il vero animale di scena che ho incontrato è stato Giuseppe Di Stefano.
Lo ascoltai in ‘Pagliacci’ a metà degli anni Settanta.
Accanto a lui una sensuale Stella Silvia ed un apprezzatissimo Marco Stecchi.
Cantanti che fanno parte, secondo me, di quella schiera di interpreti che sono in credito con il successo, nel senso che raccolsero grandi consensi in teatro, offrendo tecnica, affidabilità, sensibilità e magnifiche interpretazioni, ma de quali la critica e la stampa si sono dimenticati troppo spesso.
Non ricordo grandi cose della prova musicale del celebre tenore, ma l’entrata in scena fu clamorosa: una sorta di meteora che invade il palcoscenico cantando e camminando, pronto a scomparire alla fine dell’aria.
Dopo un po’ ritornava sul palcoscenico, compiaciuto e determinato, in una sorta di gioco che andava avanti fino a ‘Ridi Pagliaccio’, che lo vedeva solo in palcoscenico, ad esibire una vocalità ancora solida.
Una sorta di corteggiamento con il pubblico, al quale si offriva quando e come voleva.
Aveva in pugno il palazzetto dello sport dove si esibiva, sicuro di poter contare su un successo incondizionato.
Perché gli animali di scena sono così: non accettano condizioni. Devono essere liberi di essere se stessi in ogni momento.
Questo nelle persone comuni significa essere etichettati come egocentrici , quando non egoisti.
Per loro invece è carisma, fascino.
Ma soprattutto la consapevolezza che avere in pugno la platea è condizione necessaria perché il palcoscenico sia il loro mondo, la sola foresta nella quale riescono a muoversi in libertà ed ad essere veri, nell’infinita finzione della loro esistenza.
Documenti e ascolti
PAOLA BORBONI
Paola Borboni è stata una delle più carismatiche attrici italiane.
Nata il 1 gennaio del 1900, iniziò a recitare a sedici anni e continuò a farlo fino a pochi mesi dalla morte, nel 1995.
Ha partecipato a trasmissioni e sceneggiati televisivi, a moltissimi film, ma la sua grande passione è stato sempre il teatro.
Il padre era un impresario lirico ed intuito il talento della figlia, nel 1916 , allestì la commedia Il Fiore della Vita per permetterle di debuttare. L’anno seguente entra nella compagnia di Alfredo De Sanctis ed inizia una carriera straordinaria, che la porterà a sostituire, ventenne, la primadonna Irma Gramatica .
Negli anni Trenta, in Alga Marina, fu la prima attrice in Italia a recitare a seno nudo.
Recitò con i più grandi attori del secolo, distinguendosi nel repertorio pirandelliano.
Negli anni Cinquanta apre le porte ai grandi monologhi teatrali, in massima parte scritti appositamente per lei.
Nella sua lunghissima carriera si è rivelata attrice eclettica.
Per quel che riguarda il genere brillante, fu memorabile in Ciao Rudy di Garinei e Giovannini con Mastroianni e la Carrà.
Carismatica nella tragedia, interpretò spesso Eschilo e Shakespeare, del quale interpretò la parte del titolo del Re Lear. Nel 1937 recitò il teatro di piazza con il glorioso Carro dei Tespi.
Attrice aperta alla scena internazionale, fra gli anni Cinquanta e gli anni Sessanta presentò in Italia drammi di Brecht, Pinter, Beckett ed Ionesco.
A seguito di un incidente stradale nel 1978, nel quale morì il giovane marito Bruno Vilar , fu costretta alle stampelle, che non le impedirono di continuare la carriera teatrale.
Straordinaria personalità, capace di essere al centro della scena senza mai scivolare nel cattivo gusto, ha saputo distinguersi con una recitazione personalissima, inimitabile, nella quale era impossibile distinguere fra teatro e vita quotidiana.
Una donna per la quale il teatro era la vita e la vita era recitare con verità se stessa.
Una interessante intervista a Paola Borboni da parte di Raffaella Carrà, che con lei recitò nella commedia musicale ‘Ciao Rudi’
La straordinaria pagina della Signora Frola di ‘ Così è se vi pare’, nell’allestimento di Franco Zeffirelli
MARCO STECCHI
Nasce a Greve in Chianti nel 1928.
La sua famiglia è particolarmente sensibile al teatro ed all’opera lirica e frequentemente incontra in casa grandi cantanti come Bechi e Titta Ruffo, che sono fra i primi ad intuire il talento del giovane Marco, che inizia a studiare con il Maestro Frazzi.
Prosegue gli studi a Milano, con Campogalliani e nel 1956 vince il concorso per il Teatro Nuovo di Milano e debutto ne La Boheme.
Brucia le tappe e viene scritturato per una importante tournee in Gran Bretagna con una compagnia, diretta da Franco Patanè, che oltre a lui annovera Floriana Cavalli, Renato Cioni, Ruggero Bondino, Regolo Romani e Carlo Tagliabue.
Vengono messi in scena La Boheme e La Traviata, con Stecchi e Rigoletto con Tagliabue.
Al rientro in Italia vince numerosi concorsi e canta nei principali teatri.
Una tappa importante, nel 1958, è, proprio nel teatro di Greve in Chianti, l’incontro con Il Barbiere di Siviglia, ruolo che risulta particolarmente affine alle sue corde e che interpreterà quasi quattrocento volte in tutto il mondo.
Il repertorio di Stecchi, anche grazie ad una carriera che arriva alla fine degli anni Ottanta, comprende quasi sessanta titoli, alcuni popolari come Lucia di Lammermoor, L’Elisir d’Amore, La Boheme ed altri decisamente di più desueta rappresentazione, come la Cantata Profana di Bartok, La Resurrezione di Cristo, Il dottor Faust,
Nel 1961, a Montecarlo, è nel cast della prima mondiale dell’opera, tratta da Italo Calvino, Il Visconte Dimezzato, musicata da Gillet. Nel cast, diretto dal Maestro Franeau ci sono: Adani, Zannini, Spina, Tadeo.
Negli anni Sessanta diviene un vero idolo per il pubblico belga di Gand, dove canterà negli anni seguenti decine di serate, dopo che si era precipitato in quel teatro da Ivrea, per salvare le recite di Il Barbiere di Siviglia, sostituendo all’ultimo il Figaro che si era ammalato.
Il Belgio ha un posto speciale nel cuore del baritono sia perchè a Gand, nel 1972, conobbe una avvenente fanciulla, futura regista, che sposerà qualche tempo dopo, sia perchè nel 1994 S. M. Alberto re del Belgio gli conferì la più alta onorificenza del paese : il titolo di Cavaliere dell'Ordine di Leopoldo.
La storia di Stecchi è costellata di colpi di scena, a dimostrazione che siamo davanti ad un vero ‘animale da palcoscenico’ oltre che ad un cantante con una tecnica sicura ed una voce di indubbia bellezza: a Lisbona è Bechi, in veste di regista, che lo chiama. Stecchì è a Gand per un concerto, concluso il quale sale su un aereo ed il giorno dopo è in scena al Sao Carlos come Rigoletto.
A Como va ad ascoltare un collega, che rimane improvvisamente afono e dopo il primo atto cantato dal titolare deve indossare la gobba e finire l’opera accanto alla Maccianti ed a Kraus.
I viaggi, i cambi di clima, il repertorio non spaventano questo cantante, che sembrava inossidabile a cambi climatici, passaggi di repertorio, fusi orari.
Un’altra sua caratteristica è la grande disponibilità verso i teatri minori: lo si poteva ascoltare a Parigi e Berlino, ma anche a San Giminiano od al palasport di Udine, dove arrivò all’ultimo momento per sostituire il previsto Franco Mieli ne I Pagliacci con Di Stefano e la Silva.
Splendido con il pubblico, con cui è sempre stato gentilissimo e disponibile anche dopo il ritiro dalle scene, non lesinava i bis e perfino i tris, caratteristica rara e spesso contestata dai puristi del melodramma, ma tanto apprezzata dai suoi estimatori.
Un interessante ascolto da ‘Il Barbiere di Siviglia’: ‘ Largo al Factotum’ - Direttore M° A. Faldi
Una pagina di ‘ Luisa Miller’ registrata nel 1975 dal vivo, con degli interessanti materiali iconografici
WANDISSIMA
Wanda Osiris, nata nel 1905, è stata la prima vera diva dello spettacolo leggero italiano.
Attrice gradevole, cantante decisamente poso dotata, fu donna di straordinario carisma, appassionata come poche al proprio lavoro, ha di fatto modellato addosso a se il ruolo della soubrette, non decorativa presenza che affiancava il comico, ma regina incontrastata dello spettacolo.
I suoi spettacoli erano sfarzosissimi.
Costumi luccicanti, scene d’effetto, corpo di ballo, musicisti ma soprattutto lei, la Wandissima, che scendeva le scale circondata di giovani ballerini che sceglieva personalmente.
Adattava i brani musicali alle sue capacità canore, si truccava in modo personale, con i capelli ossigenati in un periodo in cui si puntava al modello di donna italica, mora e solida; portava cascate di piume e tacchi altissimi; lanciava lunghissime rose al pubblico, che aromatizzava con il suo profumo.
Insomma dominava la scena e decideva come doveva essere lo spettacolo.
Che non è poco per una giovane donna che muoveva i primi passi nel mondo dello spettacolo nel periodo fra le due guerre, che si esibì durante il periodo fascista, che le impose di cambiare il cognome in Osiri, che portò avanti la compagnia durante la ricostruzione post bellica, che sicuramente aveva altre priorità che il teatro del varietà.
Era nata in una famiglia bene, il padre era palafreniere del Re e venne avviata allo studio del violino in giovane età.
Sicuramente le aspettative familiari erano diverse, ma Wanda lasciò Roma per il mondo del teatro e nel 1923, a soli diciotto anni, debuttò al Cinema Eden, una specie di teatri d’avanspettacolo.
Ebbe un buon successo, che la nascita di una figlia, nel 1928, senza essere sposata , non riuscì ad appannare nonostante la morale rigida del tempo.
Alla fine degli anni Trenta venne scritturata dall’attore di varietà più popolare dell’epoca: Macario, che la volle in spettacoli di grande successo: ‘Piroscafo Giallo’, ‘Aria di festa’, ‘Tutte Donne’, caratterizzati da allestimenti di grande effetto, con Wanda che di volta in volta appariva dentro una gabbia d’oro, usciva da un astuccio di profumo e simili invenzioni.
Negli anni Quaranta conobbe Carlo Dapporto e con lui venne definitivamente incoronata come la regina del varietà in spettacoli divertenti e di una sfrenata inventiva per scene e costumi, come si può immaginare dai titoli: ‘Che succede a Copacabana’, ‘L’Isola delle Sirene’, ‘La donna e il diavolo’.
Erano anni difficili e la Osiris visse il suo ruolo di attrice come una missione: regalare momenti di serenità e divertimento agli italiani provati dal conflitto.
Dal 1946 entrò a far parte della compagnia di Garinei e Giovannini con lavori popolari ma non sciocchi: ‘Si stava meglio domani’ e ‘Domani è sempre domenica’, nel quale l’attrice usciva da una conchiglia, novella Venere del Botticelli.
Wanda sapeva che per tenere stretto il suo scettro doveva mantenere alta la qualità dei suoi spettacoli e nel 1948 propose ‘Al Grand Hotel’, un allestimento leggendario per sfarzo ed effetti scenici che fu una tappa determinante per la storia del teatro italiano.
La soubrette interpreta ‘Personalità’. Un documento interessante, ricordando che erano gli anni del suo massimo successo, quando le sue riviste incassavano più degli spettacoli della Scala
Un filmato interessante per capire chi sia un ‘animale di scena’. Wanda Osiris ospite di Franca Valeri in ‘La Regina ed io’, un varietà televisivo di Antonello Falqui.
Di fatto non fa nulla. Risponde a qualche battuta, con una gag sostenuta dagli altri, ascolta la Pizzi che canta e non emette suono. Ma di fatto è la regina della scena, al centro dell’attenzione sostanzialmente perché era lei. Un po’ come Turandot alla prima uscita, quando non canta ma si limita a condannare son un gesto.
GIUSEPPE DI STEFANO
Non potevamo non proporre alcuni video da cui traspare la strabordante personalità artistica del grande tenore siciliano, un vero pilastro del melodramma italiano.
Di Stefano è stato un vero idolo. Questo un curioso filmato tratto da ‘Ed Sullivan Show’, la trasmissione televisiva più popolare in America negli anni Cinquanta-Sessanta.
Infine un filmato che si riferisce proprio a ‘I pagliacci’, che illustra le doti da consumato attore del cantante
di Gianluca Macovez