Alessandro Scotto di Luzio è un giovane tenore che si sta ritagliando uno spazio sempre più rilevante fra le nuove voci italiane.
Si tratta di un cantante versatile, con una voce ricca di colori, una tecnica sicura ed un modo elegante di muoversi in scena.
Un attore brillante, che non scivola in gigionerie e non cerca il facile effetto, ma vuole costruire personaggi autentici, credibili, pieni di sentimento.
Ma anche di una persona gentile, cortese, disponibile , che ha accettato di rispondere alle domande di questa intervista durante le prove di ‘La Boheme’ di Puccini in scena al Verdi di Trieste.
In realtà lei, nonostante la giovane età, vanta un lungo curriculum, perché ha iniziato giovanissimo.
Come ha scoperto la sua passione per l’opera?
Mi sono avvicinato all’opera grazie a mio nonno, che era un amante dell’opera e della canzone napoletana. Conosceva anche delle arie, come ‘Che Gelida Manina’ e ‘E Lucean le stelle’ , che canticchiava spesso con voce da appassionato, non da cantante, dedicandole alla nonna. Ne usciva una atmosfera di grande bellezza e sicuramente questo contribuì significativamente per trasmettermi la passione per il belcanto.
Mi accorsi presto di avere una bella voce: ad otto anni cantavo ‘O Sole mio’, ‘Torna a Surriento’, insomma il repertorio classico napoletano ed i parenti alle feste mi chiedevano di esibirmi per loro. Così poi inizi a studiare, studiare, studiare e ti rendi conto che una vita non basta per imparare tutto quello che vorresti sapere.
I suoi familiari l’hanno appoggiata oppure erano spaventati da una scelta professionale così insolita?
La mamma mi ha sempre appoggiato, spingendomi a tener duro nei momenti difficili, mentre il papà un po’ meno, non perché fosse ostile, ma perché la vedeva come una carriera molto difficile. Lui è un agricoltore, un uomo concreto, che teneva molto al lavoro manuale. Non a caso nella mia infanzia ho ricordi anche di quando, con mio fratello, andavo ad aiutarlo nei campi. Sicuramente quel lavoro agricolo mi è stato utile per temprare il carattere.
Per qualche anno ha fatto parte del coro dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia. Come ricorda quell’esperienza?
Sicuramente è stata una bella esperienza. Ricordo che quando seppi che mi avevano preso feci un vero salto di gioia: avevo diciannove anni, appena finite le scuole superiori e fu bellissimo essere scelto. Poi col passare del tempo, stando nel coro mi resi conto che mi mancava qualcosa, che avevo bisogno di altro e così, dopo due anni , lasciai perdere ed intrapresi un'altra strada. Ad oggi sono contento della scelta fatta, ma certamente esiste anche il rovescio della medaglia: facendo il cantante non hai la stabilità di un contratto sicuro, rischi di lavorare un mese e poi rimanere due o tre mesi a casa e questo sicuramente mette ansia.
Il suo Maestro è un tenore che ha scritto pagine importanti dell’opera italiana, ma con caratteristiche vocali ed interpretative molto diverse dalle sue: Nunzio Todisco. Che cosa vi unisce ?
Il Maestro Todisco è una figura importantissima per me. Quando sono andato da lui c’erano delle cose che non andavano tecnicamente e lui le ha messe a posto. Todisco viene dalla vecchia scuola, sa il fatto suo. Ha una personalità forte, decisa, un vero leone ed io gli sono riconoscente e quando posso continuo ad andare da lui. Abbiamo due repertori differenti, ma lui mi ha dato, oltre alla tecnica, anche quella tempra che a me mancava.
Il suo repertorio è decisamente impegnativo: Rigoletto, Lucia di Lammermoor, Figlia del Reggimento, tanto per fare qualche nome, ma eccelle anche nell’operetta: Il paese del sorriso ed il Pipistrello per ricordare i titoli in scena a Trieste. Come si trova ad affrontare la cosiddetto ‘ piccola lirica’, che per gli interpreti è tutt’altro che piccola?
L’operetta l’apprezzo moltissimo, ma è decisamente complessa. Rispetto all’opera è più attoriale, ci sono dei dialoghi di prosa, ma onestamente la faccio con piacere, mi piace, mi diverto. Non sono poche, comunque, le insidie , anche perché come scrittura non è semplice per niente e quando la si canta bisogna stare molto attenti. Sono stato contento in particolare di ‘Il Pipistrello’ andato in scena lo scorso anno, perché rispetto a ‘Il Paese del Sorriso’, cantato nel 2014, ho una differente maturità, vocale e scenica.
Ha dalla sua una figura prestante e delle ottime capacità interpretative. Quanto queste doti possono aiutare?
Il fisico, l’altezza, la figura sicuramente aiutano, ma credo che se uno è un talento, può essere basso, grasso, alto, magro, brutto, non ha nessuna importanza, perché la gente ascolta ed apprezza.
Certo se poi pensiamo ad uno come Corelli, voce magnifica, splendido uomo, c’era proprio tutto.
Una curiosità: come si pone di fronte alle regie moderne? Crede che realmente danneggino lo spettacolo, come sostiene il pubblico più tradizionalista, oppure crede che certe trovate, come Don Giovanni che conclude a Salisburgo l’opera cantando nudo, possano offrire degli spunti interpretativi interessanti?
Credo che la questione delle regie moderne sia molto soggettiva. A me piace pensare di essere un esecutore, non un osservatore e non un critico in questo ambito. Moderno o classico ha poca importanza. Forse il mio gusto personale è più vicino alle regie classiche, ma mi sono trovato bene anche con quelle più moderne, purchè non mi costringano a salti mortali per la voce, posizioni strane nel canto o cose del genere. Va anche detto che se succede si parla con il regista e si cerca di trovare una soluzione che accontenti tutti.
Peraltro più i registi, classici o moderni, mi chiedono di impegnarmi, più mi pare di migliorare anche a livello di prosa. Mi piace quando mi si offrono tanti stimoli, tante idee, perché poi elaboro e cerco di fare tutto, cercando di costruire personaggi sempre più completi.
A quale ruolo è più legato e quale personaggio vorrebbe non interpretare più?
Un ruolo che mi sta più a cuore è proprio Rodolfo, che mi preparo a portare in scena a Trieste e con il quale ho debuttato nel 2009 ad Ercolano.
Mi piace molto anche Mario Cavaradossi, a quale sto lavorando e che spero che con la maturità vocale potrò portare in scena. Spero proprio che questo ruolo possa concretizzarsi, ma certamente comanda la voce e la sua evoluzione: non bisogna forzare le tappe, altrimenti è impossibile costruire una carriera duratura.
Trieste l’ha ospitata in diverse occasioni. C’è uno spettacolo cui è più legato?
Spero proprio che sarà ‘La Boheme’, ma certamente ‘Il Paese del Sorriso’ era stato uno spettacolo bello, che rifarei volentieri con la maturità di adesso.
Ma adesso viviamo ‘La Boheme’ e ‘La Boheme’ è ‘La Boheme’….
Ci sono stati episodi che l’hanno divertita nel corso degli spettacoli al Verdi, o si sono instaurati rapporti speciali con dei colleghi?
Francamente io vado d’accordo con tutti. Anche se dall’altra parte qualcuno dovesse alzare un muro, io rispetto tutto e tutti, perché è determinante per la buona riuscita dello spettacolo.
‘La Boheme’ è, come abbiamo visto, un titolo cui lei è particolarmente legato, visto che lo ha debuttato nel 2009 ad Ercolano.
Come già avevo anticipato, Rodolfo è nel mio cuore: un personaggio molto romantico, sensibile, che secondo me si innamora di Mimì anche perchè coglie le sue difficoltà, la sua sofferenza. Penso che lui sia colpito dalla bellezza della fanciulla, ma anche che la voglia tutelare, innamorandosi della sua fragilità. Noi uomini, secondo me, dovremmo essere protettivi verso la nostra donna, perché più si è protettivi, più si ama.
Cosa pensa di avere in comune con Rodolfo?
Credo di avere in comune con lui la sensibilità, il romanticismo, quella passione, che da napoletano penso di possedere.
In questi anni cosa è cambiato, sia scenicamente che vocalmente, nei confronti d questo ruolo?
Sicuramente è cresciuta la maturità: ho avuto diverse occasioni di interpretarlo ed ho cercato di scavarlo sempre di più , sperando di farlo sempre meglio.
Immagino che il coinvolgimento emotivo, soprattutto nell’ultimo atto, non sia un elemento da poco: come vive quel momento dell’opera ed ha mai avuto difficoltà a gestire l’emotività?
Devo cercare di fare un passo indietro, nel senso che se pensassi liberamente alla situazione, all’emotività di quel momento, non riuscirei a cantare. Se mi calassi completamente in quel momento narrativo, mi verrebbe un magone allo stomaco, un grappolo in gola e mi metterei a piangere. Devo cercare di abbandonarmi tenendo però la situazione sotto controllo e non è una cosa facile.
Qual è il suo rapporto con recensioni: le legge o, come faceva la Simionato, le evita ?
Francamente cerco di evitarle, ma con i social non è facile: qualcuno ti tagga, un collega condivide ed a quel punto subentra la curiosità e si va a leggere.
L’artista sa i suoi limiti, i suoi pregi, i suoi difetti e devo confessare che in cuor mio so cosa devo migliorare e se il critico mi dice una cosa tecnica ben precisa, lo ascolto, ne prendo atto e cerco di risolvere la situazione.
Cosa le piacerebbe vedere scritto di lei?
Vorrei parlassero di me come di un tenore italiano, napoletano, preso come riferimento dai grandi teatri. Questo naturalmente è il sogno di tutti, perché il nostro mestiere è bellissimo, ma molto stressante, con tante difficoltà. Devi riguardarti, cantare anche se non stai bene, hai paura che gli altri ti passino raffreddori ed influenze, insomma sei sempre sulla corda. Una tensione che da fuori non si vede, ma che ti logora e quindi ognuno di noi sogna una tranquillità lavorativa. Non per fare il divo, semplicemente per poter assicurare tranquillità ai propri familiari.
Faccio il possibile, studio costantemente ogni giorno, con tenacia, cercando di migliorare sempre.
L’altra cosa cui punto tanto è di cercare di emozionare l’ascoltatore. Perché va bene lavorare sulla voce, ma è fondamentale riuscire a far arrivare il personaggio. Questo è un argomento sul quale mi impegno molto, sperando di riuscire a far entrare i ruoli che interpreto nel cuore del pubblico, che vorrei che non fosse colpito solo da una voce, ma anche da un sentimento, un pathos, una sensibilità.
Invece cosa le dà più fastidio?
Una recensione poco obiettiva sicuramente non fa piacere, perché chi canta si impegna moltissimo, ma chi l’ascolta non sa cosa sta vivendo l’artista in quel momento. Ci sono situazioni familiari, di stress, di salute, con cui noi dobbiamo fare i conti e che nessuno conosce. Quando sai che hai dato tutto quello che potevi e forse anche di più, ti spiace che i tuoi sforzi vengano oscurati da un errore, una difficoltà, come se tutto il tuo impegno si risolvesse in quell’attimo.
Quali sono i prossimi impegni?
Fra gli altri mi aspettano una ‘Traviata’ al Massimo di Palermo ed una ‘Boheme’ a Ravenna con la regia della Signora Cristina Mazzavillani, la moglie del Maestro Muti.
Infine, ringraziando per la disponibilità e la cortesia, quali i suoi sogni?
Il mio sogno, come dicevamo, è quello di essere un tenore di riferimento nel panorama lirico mondiale, ma anche di stare sereni, vorrei la Pace, per questo mondo. Lavorativamente mi piacerebbe cantare ruoli più lirici, ma arriverà con la maturità , con gli anni la voce mi consentirà qualche ruolo un po’ più pesante, ma come dicevamo, sempre rispettando l’organo vocale. Non amo gli azzardi, vanno fatte le cose giuste al momento giusto.
‘La Boheme’ di Puccini sarà in scena a Trieste dal 9 al 18 dicembre 2022
di Gianluca Macovez
Di seguito alcune foto di scena: