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A Cagliari sulla scena dell'Ernani, parola ai figuranti - di Loredana Atzei

2022-04-22 19:54

Loredana Atzei

Musicologia generale, Interviste artisti, Curiosità, opera, interviste,

A Cagliari sulla scena dell'Ernani, parola ai figuranti - di Loredana Atzei

La bella intervista di Loredana Atzei ai figuranti della produzione di Ernani in scena in questi giorni al Teatro Lirico di Cagliari

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Il 12 Aprile scendo a Cagliari per intervistare i figuranti che lavorano al lirico e questo mi permette di assistere alla rappresentazione dell’ Ernani, realizzata per le scolaresche.

 

L’opera viene introdotta e spiegata con cura dall’attore Simeone Latini capace di conquistarsi l’attenzione dei ragazzi con un po’ di umorismo e con l’uso di termini a loro vicini.

 

La versione ridotta dell’Opera è interpretata dai cantanti del secondo cast.

Bene l’Ernani di Ragaa Eldin, convincente l’Elvira di Renata Campanella e perfetto il Silva di Dongho Kim, che ho già  potuto apprezzare nel primo cast in sostituzione di Andrea Silvestrelli

Ma quello che mi colpisce di più è il Don Carlo di Badral  Chuluunbaatar. Timbro caldo e luminoso, bella linea di canto, e efficace nelle intenzioni.

Insomma, un secondo cast che non sfigura di fronte al primo.

 

Ogni esecuzione è stata applaudita con entusiasmo dagli oltre mille giovani presenti in sala. 

 

Sul palco, a infondere realismo alla scena e a vivacizzare l’azione, sono presenti i figuranti. Un piccolo meccanismo nella grande macchina che è l’Opera lirica. Piccolo ma necessario al buon funzionamento dello spettacolo.

 

Quando arrivo ai camerini, dopo aver percorso il labirinto del teatro e aver intravisto la poderosa macchina del dietro le quinte, i ragazzi si stanno ancora struccando e smettendo i panni dei banditi.

Ma dopo pochi minuti sono tutti seduti intorno a me per cominciare a descrivermi questo lavoro essenziale e poco noto.

 

Il percorso che li ha condotti ad essere figuranti è diverso per ognuno di loro.

C’è Luca Milia, appassionato di cinema e di musica, che ha iniziato durante il periodo universitario e che ora è alla quindicesima opera a cui prende parte.

Paolo Corda invece viene dalla danza come Matteo Viola

Gianni Dettori, considerato il “figurante speciale”  viene dal teatro di prosa.

Anche Paolo Montanaro viene dal cinema e dal Teatro.

Sempre dal Teatro arriva Fabrizio Cruccu.

Ma c’è anche chi come Marco Altea si è ritrovato per caso in questo mondo e si è innamorato di questo ambiente.

Aggiungo infine Giuseppe Casula, Simone Lecca e Antonio Podda che fanno parte del gruppo ma che non sono presenti a questa chiacchierata.

Come dice Paolo Corda, è un lavoro che possono fare tutti a patto di amare tantissimo il teatro e la lirica. Infatti mi confermano tutti di essere dei veri appassionati del melodramma.

 

Cerchiamo di conoscere un po’ meglio questo lavoro attraverso le parole di chi lo svolge.

 

A Matteo Viola, che ha cominciato questa esperienza nel Rigoletto in qualità di danzatore/acrobata, chiedo innanzitutto come avvengono le selezioni?

 

Le selezioni avvengono per ogni Opera e viene pubblicato un bando con la richiesta di figuranti. Sarà poi il regista a scegliere, tra chi si presenta, quelli che rispondono a determinate esigenze. Ad esempio nell’Ernani sono stati scelti solo uomini per interpretare prima i banditi e poi i cavalieri al seguito di Don Carlo.

Ci sono stati però degli allestimenti dove la figurazione è stata molto importante. Penso ad esempio a quello che è stato il nostro lavoro  ne “Gli Shardana”, o quello nella Turandot con le scene di Pinuccio Sciola. In queste opere il ruolo dei figuranti era centrale.

Qui le parti erano sicuramente più grandi e rilevanti rispetto ad altre opere e questo dipende molto dalle scelte di regia.

 

Luca Milia invece ci spiega come avviene la preparazione

 

Ci prepariamo facendo un periodo di prove che dura circa venti giorni, solitamente , durante i quali proviamo la nostra parte, insieme ovviamente al regista, al coreografo, e tutti gli altri componenti del teatro, nonché ai cantanti. Spesso siamo impegnati la mattina, o mattina e pomeriggio, a seconda delle esigenze. E si fanno tutte le prove necessarie. Si studiano gli ingressi, le parti recitative, i gesti, in modo che sia tutto perfetto sul palco al momento dello spettacolo. Poi ci sono alcune giornate che passiamo sul palcoscenico con i costumi e alla fine c’è la prova generale. Dopo di che si iniziano le recite che durano circa una settimana, dieci giorni, normalmente.

 

La parola passa a Fabrizio Cruccu che dice di “mangiare teatro” da quando era bambino. I suoi genitori erano patiti della lirica e lui a otto anni era già in scena nella parte di Cupido.  A lui chiedo: “Com’è il rapporto con i colleghi? “

 

Dipende dai casi. Tra di noi (indica i presenti) ci conosciamo bene  perché abbiamo già lavorato diverse volte insieme, quindi abbiamo formato un gruppo nostro…poi certo arrivano altre persone e magari si formano altri gruppi. Nei camerini a fianco, ad esempio, c’è il gruppo delle ragazze con le quali si scherza.  Devo ammetterlo, per me questa è una seconda famiglia , siamo molto uniti, ci aiutiamo l’uno con l’altro, se qualcuno ha un problema si confida. Proprio come in  una famiglia. Quindi io amo questo posto. E’ anche un modo per staccare dalla vita reale. Vengo qua e mi ritrovo in un altro mondo.

 

Interviene Paolo Corda

 

In un gruppo come il nostro, che è in effetti lo zoccolo duro dei figuranti perché abbiamo preso parte insieme a tantissime produzioni, si sviluppa anche tanta creatività tra di noi, tra uno scherzo e l’altro. Diciamo che le goliardate non mancano mai. Tutto questo però non è fine a se stesso. Certo ci si diverte ma ci porta anche dei risultati a livello artistico. Ognuno di noi esprime se stesso. Abbiamo giocolieri, acrobati, io sono diplomato coreografo quindi ho una visione teatrale grazie agli studi che ho fatto. 

Il nostro compito certo è quello di stare zitti sia nelle scene che dietro le quinte. Però alle volte si crea una certa confidenza con il regista  e magari qual cosina gliela si può suggerire, e può capitare che venga presa in considerazione e portata in scena. Sono soddisfazioni. 

 

Gianni Dettori è quello che viene considerato un “figurante speciale”, ossia uno di quegli artisti al quale, per esperienza e per le grandi doti teatrali, vengono assegnati ruoli più importanti, come ad esempio il notaio nell’Elisir d’amore. Lui ci spiega meglio in cosa consiste questo lavoro.

 

Dopo 40 anni di lavoro teatrale recitare come figurante è un bisogno mio personale di sostenere un ruolo in modo diverso. 

Qui si entra in una macchina che è completa, dalla regia ai costumi, ai tecnici, al trucco e parrucco, e ne sono rimasto affascinato. E poi c’è il figurante che sta sempre dietro le quinte, sempre li, zitto, ma che è  importantissimo all’interno di un’Opera. La sua presenza aggiunge un valore che raramente viene riconosciuto e raccontato da chi parla di lirica e che invece è essenziale. Alcune volte aggiunge verismo alle scene, molte volte invece è proprio funzionale.

La linea tra figurante e mimo è molto sottile. Non parliamo in scena, e non cantiamo, però spesso svolgiamo dei ruoli che sono ben precisi. E un figurante il cameriere che serve i calici ne “La traviata”, oppure il notaio nel “l’Elisir” d’amore, dove in effetti è un personaggio all’interno della storia.

 

Al che Luca Milia aggiunge

 

E’ necessario avere la passione del teatro e se ce l’hai allora è proprio nel teatro lirico che puoi viverla al cento per cento. Perché è la macchina teatrale più grande che esista. Ci sono tantissimi macchinisti, ci sono le scenografie, la sartoria, in trucco, quindi vivi questa esperienza teatrale in modo completo. Cosa che non avviene magari in una piccola compagnia dove invece ci si arrangia. Devi avere la passione per questo. Poi ovviamente, come per tutte le cose, c’è chi lo fa solo per avere un mese di lavoro.

 

Riccardo Montanaro ci parla della sua esperienza

 

Vengo dal cinema, dal teatro di prosa, poi ho scoperto il lavoro del figurante nel teatro lirico. Il figurante io lo vedo un po’ come l’eroe delle retrovie. E’ operoso, fa tante piccole cose che magari non vengono notate ma che, senza queste piccole azioni, l’ingranaggio rischierebbe di spezzarsi. Per questo è importante questa figura professionale. Poi c’è l’emozione che si crea dietro le quinte, ad esempio quella sospensione prima dell’ouverture quando sei li, al buio e hai quella tensione e quell’ansia positiva come ce la può avere il solista, anche se tu sei “solo il figurante”. Questo vuol dire che stai dando la giusta importanza all’opera,ma anche al tuo ruolo.

E’ nel teatro lirico che ho assaporato questa magia.

 

La stessa emozione che ha scoperto Marco Altea, figurante per caso che poi si è innamorato di questo lavoro. 

 

Ho sempre amato il teatro, l’arte della recitazione, però l’ho sempre considerato come un mondo troppo lontano da me. Per caso un giorno ho trovato un annuncio dove cercavano figuranti. Non sapevo nemmeno bene cosa fosse un figurante, sono andato li per propormi, per caso, e sono stato preso. Ho scoperto un mondo nuovo, sono entrato proprio in un’altra dimensione. Entravo in teatro e sentivo il rumore di musica classica. Ho fatto cose che io nemmeno immaginavo di poter fare. Le sarte che ci vestivano. I truccatori che ci trasformavano per andare in scena. Un mondo fantastico di cui mi sono appassionato. Credo che il figurante mi abbia fatto crescere e aprire gli occhi su un mondo incredibile, oltre ad avermi dato l’opportunità di conoscere altri artisti.

 

Parliamo dell’ultima produzione del lirico di Cagliari:  “L’Ernani”. Come avete studiato le vostre parti?

 

Il coro, per via delle direttive sanitarie, è praticamente fermo in scena. Quindi spetta ai figuranti movimentare l’azione e rivestiamo un ruolo molto importante. 

Nella parte iniziale io (è Gianni che parla) e Paolo siamo dei furfanti che si dilettano nel bere, giochiamo con i dadi e poi facciamo una partita a murra. Ne abbiamo discusso con la coreografa che ci ha detto che potevamo farlo. In qualche modo il pubblico lo interpreta come un riconoscimento della nostra terra tanto è legato alla nostra tradizione. Anche se sappiamo bene che si gioca anche in Spagna quindi è plausibile. 

 

Azzardo un confronto che potrebbe apparire forzato. Personalmente intravedo un’affinità con la Spagna del 1500 e la nostra terra.  In fondo Carlo V è stato anche Re di Sardegna e la figura di Ernani, il bandito, è molto simile a quella dei nostri latitanti. Infine c’è tutta la questione legata all’ospitalità, al senso dell’onore, alla sacralità della parola data che fanno di quest’opera un qualcosa che ha delle analogie con la cultura Sarda.

 

Effettivamente è il nostro codice d’onore. Così come i banditi, che da noi diventano “i balentes”… e diciamo che ci  appartiene anche la fama di essere buoni bevitori.

 

Concludiamo la questione con una sonora risata per poi ritornare di nuovo seri con Paolo dalle cui parole traspare il grande amore per quest’arte.

 

Fare questo lavoro alla fine ci permette di tornare bambini perché abbiamo il costume, la spada e a quel punto ci sentiamo cavalieri, briganti. Quando il regista ci ha detto: “Voi avrete la spada.” Mi sono sentito come se si fosse avverato un sogno. Interpretare questi personaggi, in fondo, sono i sogni dei bambini e penso che il lavoro di ogni artista è ricercare il bambino che ha dentro di se. Ecco, vivere in questo mondo significa realizzare questo aspetto.

 

A proposito di bambini. Oggi abbiamo assistito all’opera ridotta per le scolaresche. Cosa pensate di questo pubblico?

 

I bambini sono sempre molto contenti. Applaudono con entusiasmo e le opere stanno avendo molto successo. E’ bello vedere che i bambini si avvicinano al teatro, e alla lirica, aiutati in questo percorso dalla scuola e dal teatro stesso. 

 

Ho notato che hanno praticamente fatto una standing ovation all’entrata del Direttore, e poi hanno applaudito con entusiasmo ogni parte della rappresentazione.

Prende la parola Pierluigi Corona, Responsabile dell’Ufficio stampa del lirico di Cagliari, che mi ha accompagnato in questa intervista.

 

Perché i giovani sono così, si emozionano e infondono calore in teatro. Mi è capitato di vedere bambini che hanno pianto alla morte di Gilda nel Rigoletto. C’è stata una bambina che mi ha chiesto se poteva entrare dentro il camerino a vedere la cantante perché non credeva che fosse viva. Ho dovuto portarla dietro a far vedere che era tutto finto. Questa  è una cosa bellissima perché significa che l’Opera riesce ancora ad emozionare. Succede anche con il pubblico adulto, perché l’opera, lo sappiamo, dà delle grandi emozioni, ma con i bambini l’impatto è ancora più forte perchè sono privi di sovrastrutture e non si vergognano di provare dei sentimenti.

 

Abbiamo parlato all’inizio di Fabrizio Cruccu che a otto anni era già in scena nel ruolo di Cupido. Esistono dunque anche dei figuranti bambini? 

 

Certamente ed è importantissimo il capitolo dei figuranti bambini,  così come il coro di voci bianche. Quando lavoriamo con loro abbiamo l’opportunità di vedere  negli occhi di questi bambini la meraviglia. L’esperienza che fanno li avvicina al teatro tantissimo. Questi bambini nella vita avranno una marcia in più proprio perché hanno conosciuto il teatro. E’ un arricchimento culturale. E da adulti sicuramente questi bambini frequenteranno i teatri. 

Una cosa bella che faceva il teatro lirico di Cagliari erano le visite guidate, sospese temporaneamente a causa del covid, ma che si spera di poter riprendere in autunno.

Abbiamo visto migliaia di studenti, dalla materna fino alle superiori e all’università. Venivano qui e noi li accompagnavamo spiegandogli il funzionamento di questa grandiosa macchina che è il teatro. E questi ragazzi si entusiasmavano e si emozionavano tantissimo.

 

Un entusiasmo che però forse sta scemando negli adulti. Il pubblico attuale sembra più freddo rispetto al passato o è una mia impressione?

 

E’ più freddo perché spesso la gente va a teatro per essere intrattenuta, ma non si lascia trasportare dalle emozioni. Forse la verità è  gli adulti non hanno più la voglia “di restare bambini.” 

 

Con queste parole di Paolo Corda concludiamo questa chiacchierata dove, per una volta, abbiamo dato voce ad una categoria che vive nel silenzio. E forse la prossima volta che assisteremo ad un’opera noteremo maggiormente il loro lavoro. 

di Loredana Atzei

 

(Le foto sono di Priamo Tolu)

 

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