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Una riflessione sul Nabucco triestino.
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Il teatro Verdi di Trieste sta presentando una Stagione Lirica e di Balletto decisamente non scontata.
Dopo una âManon Lescautâ musicalmente molto interessante e visivamente sconclusionata; un âFlauto Magicoâ colorato e suggestivo; âAnna Bolenaâ nello storico allestimento di Vick e con alcune fra le voci piĂš interessanti dellâultima generazione; âAriadne auf Naxosâ vocalmente luminosissima e splendidamente diretta dal nuovo direttore stabile, il Maestro Calesso, adesso è la volta di âNabuccoâ.per il quale è stato allineato un cast di grande richiamo: la regia di Giancarlo Del Monaco, le scene ed i costumi di William Orlandi, la direzione di Daniel Oren, le voci di Burdenko, della Siri, di Ventre.
Un successo annunciato, sold out da settimane, che raggiunge, secondo chi scrive, lâobiettivo solo parzialmente.
O meglio, che lascia lo spazio a grandi considerazioni.
La prima è un plauso al teatro. Che ha scelto la via coraggiosa del nuovo, proponendo allestimenti spesso non convenzionali ad un pubblico certo non incline alle avanguardie.
Una mossa forte, piĂš di quanto possa apparire allâesterno, che rende onore alla Sovrintendenza che ha imboccato una via di marcato rinnovamento, accettando il rischio di scontrarsi con lo zoccolo duro dei tradizionalisti in nome della vitalitĂ e dellâapertura al nuovo, unica condizione per la sopravvivenza dei teatri.
La seconda è ancora molto positiva: una politica di proposta degli allestimenti che si giudicano piÚ interessanti, provenienti da teatri nazionali ed esteri. Una maniera per contenere i costi e per mantenere vivace il dibattito ed educare la platea alle novità internazionali.
Ma qui si apre la terza riflessione, meno positiva e del tutto personale.
Anzi, verrebbe da dire che visto il trionfo finale è una impressione sbagliata. Ma non per questo non va esplicitata, nella speranza che possa fungere da stimolo ad un dibattito che renda vivace un mondo che rischia una sonnolenta autoreferenzialità .
In questo âNabuccoâ le personalitĂ in campo erano fortissime, ma la sensazione è stata che piĂš che lavorare insieme alla riuscita allestimento, vi abbiano partecipato contemporaneamente.
Ma andiamo con ordine.
Giancarlo Del Monaco propone nellâottobre 2022 a Zagabria un âNabuccoâ ambientato durante i moti del 1848.
Non una proposta con velleitĂ innovative, giĂ sperimentata da numerosi registi, ma nel suo caso era una citazione attenta al âGattopardoâ di Visconti, che aprĂŹ in modo dirompente alla rilettura del capolavoro verdiano.
Una idea nĂŠ troppo tradizionalista, nĂŠ troppo allâavanguardia, frutto di un gioco sapiente di citazioni e riferimenti, con tanti piani di lettura, che evidentemente piace alla direzione del teatro triestino, che sceglie di proporla al Verdi.
Una scelta consapevole, oltretutto per una cittĂ , allâepoca saldamente austriaca, che quei rivolgimenti non li ha vissuti.
Non câè dubbio che nel momento in cui la direzione artistica ha ritenuto lâallestimento adatto al suo pubblico, se ne è assunta la responsabilitĂ ed è chiamata a difenderne lâidentitĂ .
Peraltro non stiamo parlando di artisti poco conosciuti.
Giancarlo Del Monaco sta per festeggiare i sessanta anni di carriera.
Ha raccolto successi in tutto il mondo, con gli oltre cento spettacoli di cui ha curato la regia, in Germania, al Metropolitan di New York, in Francia, in Spagna, in Argentina, solo per fare qualche esempio .
Fondatore, con il padre, del prezioso Festival di Montepulciano, conosce il teatro in tutte le sue sfaccettature, essendo stato anche Sovrintendente dello Staatstheater di Kasse, del Macerata Festival, a Bonn ed all'Opera di Nizza.
Insomma una pietra miliare dello spettacolo dâopera del secondo Novecento.
William Orlandi è stato una colonna degli allestimenti del Verdi prima di diventare una figura di rilevanza internazionale.
Ritrovarli sul palcoscenico del Verdi era un autentico evento per gli amanti dellâopera.
Di fatto, però, assistendo a piÚ repliche, abbiamo visto spettacoli differenti e con cambi non da poco.
Per non essere troppo pedanti pensiamo solo al finale.
Abigaille ha perso.Â
Il grande muro sul fondo si divide a metĂ . La parte inferiore diventa una terrazza ed in alto appare un fondale con delle fiamme dipinte,verso il quale la regina decaduta appare, incerta nel passo, trasandata, con le chiome sciolte.
Ă sola. Dopo una vita di malefatte, di imbrogli, di tradimenti, di pugnalate alle spalle, nella quale pensava che il potere fosse il bene assoluto cui aspirare, raccoglie la giusta mercede: il dramma della solitudine, che forse lâaccompagna da sempre e che prende la forma delle vampate, una sorta di inferno in terra, che preannunciano la condanna eterna.
Lo spettacolo assume un senso preciso, eticamente forte, anche perchĂŠ fino a quel momento lâusurpatrice appariva di monolitica crudeltĂ , un poâ Lady Macbeth ed un poâ Imelda Marcos, troppo sicura di se, delle sue trame. Una manager del male. Questa conclusione, cosĂŹ moraleggiante, potremmo dire cristiana, riporta la dimensione ai valori biblici della vicenda originale ed abbatte la possenza dei grandi muri che dominano lâallestimento e propone interessanti parallelismi narrativi con Mozart, che si aggiungono ai piĂš facili riferimenti pittorici a Van Gogh.
Alla prima recita cui ho assistito Olga Maslova interpreta il finale in questa maniera. Probabilmente il suono paga un poâ la distanza dalla sala, ma lâeffetto è decisamente intenso.
Il giorno dopo in scena câè la Siri, che alla prima è stata sostituita nel finale dalla collega russa a causa di un malore, che però in sala non è stato annunciato .
Si alza il muro, appaiono la terrazza, il fuoco, ma non la cantante che fa capolino fra i colleghi in primo piano.
Non si capisce il senso del vuoto venutosi a creare nella parte superiore della scena e la regina decaduta muore nellâindifferenza generale.
Sembra che chieda scusa e nessuno la ascolti. Che come risposta è piuttosto lontana dalle indicazioni del Cristianesimo.
La questione non è teologica, ma piuttosto relativa alla tutela dellâopera dâarte, oggetto peraltro di specifiche sentenze, proprio per quel che riguarda lâapporto registico.
Cosa voleva rappresentare il regista? Noi pubblico, che ci aspettavamo un lavoro firmato Del Monaco, quale conclusione dobbiamo ritenere corretta? Oppure era un finale aperto, un teatro partecipato, che adesso va tanto di moda.
Ma soprattutto, se in questo caso la differenza era immediatamente identificabile, del resto della serata quanto e cosa era fedele allâallestimento originale?
Certamente non la soluzione del bis del âVa Pensieroâ, cantato al proscenio, distruggendo lâatmosfera commovente che si era creata, nascondendo Nabucco in catene, interrompendo la narrazione e ritornando alla posizione originaria solo dopo aver ricevuto una mole ragguardevole di applausi.
Attenzione: non sto dicendo che lo spettacolo di Del Monaco fosse inappuntabile. Anzi.
Ma che ogni artista ha il diritto di essere tutelato e rispettato.
CosÏ come il pubblico che pensa di andare a vedere un allestimento con una data regia, deve potersi fidare che quello che vede è quanto previsto.
PerchĂŠ il teatro è il luogo del dialogo, del dibattito, dellâincontro. Non è la gara per dire chi è piĂš forte.
A maggior ragione con un titolo come questo.
Riaffermata la premessa che quanto detto è parere del tutto personale e quindi opinabile e forse sbagliato, passiamo alla cronaca.
Il pubblico triestino ama da anni il maestro Oren, che anche in questa occasione il direttore riesce a far brillare lâOrchestra del teatro affiancata dalla Civica Orchestra di Fiati âG. Verdiâ - CittĂ di Trieste.
Qualcosa di insolito, però, câè: tutto il primo atto raccoglie pochissimi applausi.
La Sinfonia, con la componente ritmica che sembra avere il sopravvento sulle suggestioni drammatiche, è accolta con apprezzamento ma non entusiasmo.
âGli arredi festiviâ passa sotto silenzio, nonostante la buona prova del coro, diretto da Paolo Longo . Nessun battimani per lâaria di Zaccaria e neppure per il bel terzetto.Â
Niente va male, ma neppure nulla trascina lâentusiasmo che si poteva prevedere.
Le cose cambiano dal secondo atto. Oren sembra prendere in mano la scena: canta, gesticola, salta, sembra bramire e la platea, come sempre, apprezza questo suo modo di vivere la partitura.
Un faretto puntato sulle mani, che diventano uno dei protagonisti dello spettacolo, mostra i movimenti magnetici del direttore.
Talento ed eccesso si rincorrono. Con grandi pagine musicali come âSon pur queste mie membra - Dio di Giuda - "Cadran, cadranno i perfidi â, che commuove per intensitĂ , tempi, ariositĂ .
Ma anche gesti da rock star, come quando , alla fine di âVa Pensieroâ, il Maestro, evidentemente non contento degli applausi ricevuti, si gira ripetutamente, avvicina la mano allâorecchio e di fatto chiede al pubblico un consenso che motivi il bis.
Eâ successo alla prima ed alle due repliche cui ho assistito.
Che dimostra come ci fosse la volontĂ di eseguire il bis a tutti i costi, mutando la posizione delle masse, ma anche come in realtĂ il successo della prima esecuzione non fosse cosĂŹ spontaneamente clamoroso come si voleva far credere.
Dâaltra parte con un organico ridotto come quello attuale del coro, va riconosciuto che la prova è stata decisamente di qualitĂ .
Alla fine del bis il maestro applaude molto lungamente, seguito dalla sala, che smette solo quando le mani di Oren si acquietano.Â
Sicuramente è lâentusiasmo per la prova portata a termine con valore, ma la sensazione sgradevole di un consenso guidato attraversa molti in sala.
Sfumature, si dirĂ . Dâaltra parte sono quelle che definiscono il capolavoro, che a me pare non si sia ascoltato.
La voci erano quasi tutte straniere, elemento su cui ogni teatro dovrebbe riflettere, ad eccezione della Fenena della seconda compagnia e di alcuni comprimari: Cristian Saitta, credibile scenicamente e vocalmente come gran sacerdote di Belo; Christian Collia, corretto e piacevole Abdallo ; Elisabetta Zizzo, Anna di grande spessore vocale.
Per Fenena era prevista Anna Goryachova, che ricordavamo ottima Adalgisa, ma che per il secondo anno viene annunciata nella stagione e poi viene sostituita.Â
Al suo posto si sono sentite Elmina Hasan e Francesca Di Sauro . Entrambe dotate di una interessante vocalitĂ , sicure negli acuti, con buona presenza scenica. Particolarmente brillante la Di Sauro, che ha saputo offrire al suo personaggio una interpretazione di grande rilevanza ed un colore realmente opulento di sfumature.
Abigaille è ruolo di proibitiva difficoltĂ vocalmente: un soprano drammatico con notevoli agilitĂ ; solidi do sovracuti da cantare sia a piena voce che pianissimo; note gravi profonde; trilli di forza; acrobatici salti dâottava. Ma la parte richiede anche una grande interprete, perchĂŠ il rischio di concentrarsi piĂš sul canto che sul personaggio è in agguato e questo è certamente quanto di piĂš antiverdiano possa accadere.
Nel ruolo si alternavano Maria Josè Siri ed Olga Maslova.
Entrambe risultano vocalmente adeguate, pur con una dizione che sarebbe bene fosse migliorata.
Profondamente differenti le due interpretazioni.
La prima, soprano famosa in tutto il mondo, canta con determinazione. I suoni sono pieni, alle volte un poâ asprigni, ma forse è una scelta interpretativa. La voce potente, anche se il volume non è impressionante.
La sua Abigaille è, scenicamente, monolitica. Una donna cattiva, severa, sempre torva e brusca anche nei movimenti. A maggior ragione la scelta del finale fra gli altri appare incondivisibile.
La Maslova, forte di fiati lunghi, estensione ampia, suoni omogenei ed una gamma di colori vasta, che si fa ancora piĂš interessante nei suoni piĂš alti, appare una donna determinata, ma credibile anche nei momenti di cedimento.
In âAnchâio dischiusi un giornoâ passa dalle lamine dâacciaio della prima parte ai toni accorati della seconda, tratteggiando una figura volitiva, che lotta per sedare la sua componente umana, per imbavagliare angosce e paure, che interpreta con raffinatezza e misura.
Carlo Ventre è tenore dalla vocalitĂ piena, i solidi acuti e che canta con baldanza anche eccessiva la parte, tanto che il suo Ismaele risulta prevaricante nelle scene dâinsieme e tonante nei pezzi solistici.Â
Marko Mimica era Zaccaria, ruolo per il quale mi pare debba ancora maturare la giusta autorevolezza.
Certamente non è stato aiutato dalla scelta di far calare il sipario prima e dopo lâaria âVieni o levitaâ che cosĂŹ appare come una specie di inciso di pochi minuti fra due cambi di scena, invece che uno dei momenti di massima suggestione narrativa.
Per quel che concerne il protagonista, si alternavano Roman Burdenko e Youngjun Park, che brillano per dizione e capacitĂ di lavoro sul significato del testo.
Park ha una voce educata, di volume non strabordante, che gli consente di risultare piĂš credibile e commovente nella seconda parte, quella dolente, piuttosto che in quella iniziale, spavalda e tracotante. Nel duetto "O di qual onta gravasiâ, accanto alla Maslova, trova colori e passaggi suggestivi.Â
Burdenko è un magnifico Nabucco: sicuro nelle agilitĂ , con fiati possenti, acuti solidi, un volume potente che sa governare con gusto ma soprattutto di una amplissima gamma di colori, consegna alla platea una grande prova, con un Nabucco credibile, sia nellâarroganza dellâinvasore, che nel dolore del padre preoccupato.
Il suo âDio di Giudaâ, commuove per il lavoro sulla parola, la capacitĂ interpretativa unita ad una tecnica precisa ed ad una opulenza vocale che gli permette di cesellare una tavolozza di sfumature ricchissima. Certamente il momento piĂš alto della serata che, come detto, si è conclusa con un generale ed indistinto trionfo. Annunciato, cercato, a tratti provocato.
A nessuna delle recite si è presentato al proscenio il Maestro Del Monaco, ad avvalorare le considerazioni iniziali.
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Trieste, teatro Verdi, 23 e 24 marzo 2024
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NABUCCOÂ di Giuseppe Verdi
Dramma lirico in quattro parti di Temistocle Solera
Maestro Concertatore e Direttore DANIEL OREN
Regia GIANCARLO DEL MONACO
Scene e costumi WILLIAM ORLANDI
Light designer WOLFGANG VON ZOUBEK
Assistente alla regia MARTINA ZDILAR SERTIÄ
Assistente alle scene e costumi FRANCESCO BONATI
Maestro del Coro PAOLO LONGO
Personaggi e interpreti
Nabucco ROMAN BURDENKO (22, 24, 27, 30/III)/YOUNGJUN PARK (23, 29/III)
Abigaille MARIA JOSEâ SIRI (22, 24, 27, 30/III)/ OLGA MASLOVA(23, 29/III)
Zaccaria RAFAL SIWEK (22, 29/III) /MARKO MIMICA (23, 24, 27,30/III)Â
Fenena ELMINA HASAN (22, 24, 27, 30/III)/Â FRANCESCA DI SAURO (23, 29/III)
Il gran sacerdote di Belo CRISTIAN SAITTA
Abdallo CHRISTIAN COLLIA
Anna ELISABETTA ZIZZO
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Con la partecipazione della Civica Orchestra di Fiati âG. Verdiâ - CittĂ di Trieste
Orchestra, Coro e Tecnici della Fondazione Teatro Lirico Giuseppe Verdi di Trieste
Allestimento del HRVATSKO NARODNO KAZALIĹ TE DI ZAGABRIA
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