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Il Teatro filarmonico di Verona chiude il 2022 in bellezza con La Bohème di Puccini e un grande successo di pubblico, come testimoniano gli oltre sei minuti di applausi alla fine della recita.
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La regia di Stefano Trespidi che traspone la storia nella Parigi della Rivoluzione studentesca del â68 di per se solleva qualche iniziale perplessitĂ salvo poi rivelarsi come unâoperazione abbastanza innocua, a tratti distraente e un poâ forzata, ma nulla per cui scandalizzarsi.
Anche se un poâ della poesia della Bohème in questa versione inevitabilmente si perde.
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I personaggi vivono e si comportano per quello che sono: dei giovani amici pieni di speranze che cercano di dare vita ai propri sogni sopravvivendo con molta leggerezza ad una condizione di indigenza che è spesso una condizione patologica che accompagna gli artisti di ogni tempo.
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Le scene di Juan Guillermo Nova sono ben realizzate e la distribuzione delle masse in scena è realizzata con stile, secondo i canoni estetici della fine degli anni 60. Contribuisce alla realizzazione ottimale il disegno luci curato da Paolo Mazzon.
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Fiore allâocchiello di questa recita è lâ orchestra del Filarmonico di Verona diretta con unâeccezionale sensibilitĂ lirica dal M° Andrea Battistoni che riesce ad ottenere unâunione totale tra palco e orchestrali. Attacchi perfetti e una grande ricchezza di sfumature nellâinterpretare la partitura. Una direzione capace di dare il giusto senso ad ogni nota ed essere un faro per i cantanti in scena.
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Il primo atto si apre in una fredda soffitta che Marcello e Rodolfo hanno trasformato in una tipografia clandestina in cui si stampano manifesti rivoluzionari. I costumi di Silvia Bonetti sono aderenti al periodo. Camicie sgargianti. Pantaloni di velluto. Toni tra il marrone e il verde.
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Rodolfo è il tenore Jonathan Tetelman al suo debutto nel ruolo nel teatro Veronese. Giovane, bella presenza, si muove bene. La voce è morbida e grande soprattutto negli acuti che sfodera a profusione in un grande sfoggio vocale che il pubblico ha ampiamente dimostrato di apprezzare.
Nellâ esecuzione dellâaria piĂš famosa, âChe gelida maninaâŚâ sceglie di eseguire la frase nel modo meno abusato ossia pronunciando âLa dolce speranzaâŚâ. Lâaccompagnamento della parola non è perfetto ma lâacuto che ne segue è notevole cosĂŹ come è notevole lâapplauso del pubblico.
Dipinge quindi un Rodolfo stentoreo negli acuti, meno nei centri e un poâ avaro in mezze voci, che comunque si esibisce in un pianissimo alla conclusione di âCi lasceremo alla stagion dei fiorâŚâ a dimostrazione che câè un ampio margine di miglioramento nella maturazione interpretativa del personaggio.
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Il suo compagno di stanza e di avventure è il Marcello del baritono Alessandro Luongo bravo sia come attore che come interprete vocale. Voce ampia ed espressiva e una gestualità sempre curata.
I due si lamentano del freddo, scherzano insieme, giocano inserendo le pagine del racconto di Rodolfo allâinterno di bottiglie vuote che accendono a moâ di molotov. Oggetto alquanto di moda ai tempi.
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Ai due presto si uniscono altri due amici. Colline e Schaunard rispettivamente Francesco Leone e Jan Antem. Spigliati e divertiti sulla scena, ottimi a livello vocale, annichiliti dal dolore nellâultimo atto dove danno prova della profonditĂ dei loro sentimenti e si prodigano entrambi per aiutare MimĂŹ. Francesco Leone si esibisce in una âVecchia zimarraâŚâ dolente ma non priva di una sottilissima vena tristemente ironica. Lâapplauso del pubblico è caloroso.
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Allâarrivo del padrone di casa, giunto a chiedere il pagamento dellâaffitto, la tipografia si trasforma in una stamperia dâarte. Benoit è qui interpretato in modo efficace da Nicolò Donini con la giusta dose di comicitĂ ma senza mai diventare caricaturale.
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La protagonista femminile è invece interpretata da Irina Lungu. Una MimĂŹ vocalmente ricca che alterna civetteria a disperazione, amore per Rodolfo e paura di perderlo, giovanile voglia di vivere e tragica consapevolezza di fronte alla morte. Emozionante nellâaria âSi, mi chiamano MimĂŹâŚâ che raggiunge il culmine con âMa quando viene lo sgeloâŚâ in cui, insieme allâorchestra che offre un accompagnamento esemplare, manda il pubblico in visibilio.
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Il secondo quadro si svolge da Momus, il locale in cui gli amici si ritrovano. E si trova proprio di fronte ad una Piazza che diventa lâoccasione per una manifestazione.
Obiettivamente una delle scene piĂš forzate dellâintera operazione. PerchĂŠ non câè modo di rendere credibili i bambini che manifestano in piazza dopo lâarrivo di Parpignol.
Lâeffetto discordante tra ciò che indica il libretto e ciò che si vede sulla scena è davvero troppo grande.
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Gli amici si ritrovano finalmente a mangiare seduti ad una tavola apparecchiata con mille prelibatezze quando arriva Musetta accompagnata da Alcindoro, un Consigliere di Stato ricco e alquanto generoso interpretato da Roberto Accurso con raffinata eleganza.
Pare chiaro che la regia abbia scelto di rinunciare alle consuete rappresentazioni macchiettistiche di alcuni personaggi per concentrarsi invece in un sobrio realismo.
Daria Rybak interpreta una Musetta volitiva e capricciosa con una recitazione senza eccessi. Vocalmente corretta e piacevole. Applaudita abbondantemente nel valzer âQuando men vòâŚâ tuttavia da un punto di vista recitativo ciò che acquista in classe lo perde in brio. E forse nel cambio lo spettacolo non ci guadagna anche se il personaggio risulta inquadrato bene nel contesto.
Interessante la scelta di vestirla con un eccentrico completo viola elettrico costituito di giacca e pantaloni. A quei tempi per una donna indossare i pantaloni era di per se un atto rivoluzionario e una dichiarazione dâintenti. Era inoltre il periodo della predicazione dellâamore libero. E chi piĂš di Musetta può avvicinarsi a quella filosofia di vita.
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Bravi tutti gli interpreti di contorno Antonio GarĂŠs nei panni di Parpignol, Jacopo Bianchini che interpreta il Sergente dei Doganieri, Francesco Azzolini e Giovanni Gregnanin nel ruolo rispettivamente di un doganiere e un venditore.
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Il terzo atto vede Marcello impegnato a dipingere graffiti, lâarte murale per eccellenza del periodo con slogan che, tradotti, hanno poi fatto il giro del mondo. Da âVietato vietare!â a âLâimmaginazione al potere.â E via dicendo.
Lâambientazione è quella di una zona periferica, popolare, con palazzoni grigi e il rottame di una Renault 4 rossa dietro la quale MimĂŹ si nasconde per ascoltare il dialogo tra Marcello e Rodolfo.
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Nonostante quindi una recitazione credibile e un canto convincente rimane il retrogusto di unâoperazione registica che ha un valore estetico solo superficiale ma che forse è il modo del regista di definire quei tempi.
Una rivoluzione che si è fermata solo allâestetica.
Ci restituisce il quadro di una gioventÚ che non è stata capace di realizzare quelle utopie che professava, se non a livello esteriore.
Questa in fondo è la cosa che stride di piÚ con la storia che conosciamo.
Perchè Rodolfo, Marcello, Colline e Schaunard sono sognatori è vero, ma non rivoluzionari.
La BohĂŠme è una storia di intima quotidianitĂ , di goliardia tra amici e di amori âeterniâ che svaniscono al primo sole. Non ci sono grandi gesti eroici ne ribellioni al sistema.
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E se proprio si vuole fare un paragone con lâattualitĂ la Bohème somiglia molto di piĂš ad una puntata di âFriendsâ piuttosto che al film âThe dreamersâ di Bernardo Bertolucci.
E del film âThe dreamersâ viene riprodotta anche la scena piĂš iconica. Quella che vede i tre protagonisti nudi nella vasca. Ed ecco quindi che nel quarto quadro la povera e fredda soffitta viene sostituita da un lussuoso attico dotato di una Jacuzzi in cui Marcello e Rodolfo si intrattengono, in un menage a troi, con una ragazza di passaggio.
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La trasformazione della soffitta ad attico di lusso indica che gli artisti hanno ceduto il passo ai compromessi borghesi e anticipa quella che è la fine dei sogni giovanili.
E questo di fatto rende meno significativa la morte di MimĂŹ perchĂŠ dovrebbe essere con la sua morte, e non prima, che il gruppo di amici si affaccia alla vita reale chiudendo definitivamente la porta a quella stagione di sogni e chimere che la gioventĂš porta con se.
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Ma in fondo per citare un altro slogan famoso âI sogni muoiono allâalba.â
Siamo dunque nel â68 Francese e il regista ci annuncia che la rivoluzione è durata molto poco.
Addirittura meno della storia tra Rodolfo e MimĂŹ.
di Loredana Atzei
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Credits photo: ennevifoto per la fondazione Arena








