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Una lunga intervista a Nicolò Ceriani, ottimo baritono e vicepresidente di Assolirica.
di Gianluca Macovez
Nicolò Ceriani è stato protagonista di una lunga intervista, pubblicata a puntate su LaPlatea.it e che proponiamo ai nostri lettori in questa versione completa ed ampliata.
Prima di tutto diciamo chi è Nicolò Ceriani.
Baritono dalla carriera ultratrentennale che spazia dal repertorio lirico a quello buffo, si è distinto sempre per competenza e tecnica.
La sua è una voce potente, ricca di sfumature, fiati opulenti e centro solido.
Scenicamente è sempre appropriato e credibile e questo gli ha permesso di cantare con successo in oltre duecento allestimenti, lavorato con i registi più famosi, diretto dalle bacchetta più importanti.
Presenza costante delle estati in Arena di Verona, si distribuisce fra i vari titoli del cartellone: la prossima stagione sarà fra gli interpreti di ‘Rigoletto’ e ‘La Traviata’.
Il suo repertorio è amplissimo e va dagli spettacoli settecenteschi alla musica contemporanea, dando prova di solidità tecnica e grande duttilità.
Oltre che essere un interessante interprete, però, è anche uomo schierato per i diritti di una categoria sempre meno considerata: i musicisti. E’ infatti da tempo il Vicepresidente di Assolirica, l’associazione che raccoglie gli artisti lirici italiani.
Si tratta di una realtà ancora troppo poco nota fuori dalla cerchia degli addetti ai lavori, nata dieci anni fa e che in questo poco tempo ha saputo farsi valere con determinazione e tenacia. ma importante, che festeggia il giorno 8 marzo dieci anni di vita.
In occasione delle repliche del Trittico di Puccini, nel quale è stato ottimo Marco, credibile scenicamente nonostante un braccio rotto al collo, lo abbiamo incontrato e sottoposto ad una fitta serie di domande, cui ha risposto con l’onesta intellettuale, assoluta e per qualcuno quasi brutale, che lo distingue da sempre.
Interessante per gli addetti ai lavori, ma forse anche di più per i semplici appassionati e per i curiosi, perché ne esce uno spaccato interessante sia del complesso mondo dell’opera, sia della difficile vita dei cantanti.
Come si spiega che cosa è Assolirica?
ASSOLIRICA è l'associazione nazionale di categoria di tutti gli Artisti Lirici. È l'unica in Italia ed è riconosciuta dal Ministero dello sviluppo economico attualmente denominato Ministero delle imprese e del made in Italy. Nasce 10 anni fa allo scopo, da una parte, di proteggere gli Artisti Lirici da tutta una serie di carenze legislative che caratterizzano la categoria, provando a riscrivere un contratto nazionale di lavoro, dall’altra, a candidare la tecnica e l'arte del canto lirico italiano quale bene materiale presso l’UNESCO. Questo secondo risultato Assolirica l'ha raggiunto 2 anni fa dopo un iter assai laborioso e tecnicamente molto complesso. Il primo invece è di fatto un processo che non si fermerà mai, anche se speriamo davvero che entro breve si possano consolidare alcune prime riforme sostanziali.
La grande maggioranza delle persone, anche di quelle più informate e appassionate del mondo lirico, pensano in cuor loro che l'artista lirico sia sì un artista di alta specializzazione tecnica, ma assai privilegiato dal punto di vista del riscontro economico. Ebbene, mi tocca sfatare questo pensiero che vale probabilmente forse per il 10% dell'intera categoria, in quanto le riforme operate negli ultimi vent'anni hanno abbassato clamorosamente il livello reddituale degli artisti e per di più a scapito di una totale mancanza di tutele legislative.
Per chiarirci meglio, è necessario far sapere che i nostri contratti di lavoro sono contratti cosiddetti “onnicomprensivi” e che quindi nell'importo lordo della prestazione di una serie di recite è incluso il totale di tutte le spese sostenute nel mese mese e mezzo dello svolgimento di un contratto: le spese di viaggio, le spese di alloggio, le spese di vitto, le spese per la preparazione dell’opera. Non c'è più alcun diritto inoltre sulle registrazioni radiofoniche o televisive, nè su un riconoscimento almeno parziale di quelle recite pubbliche effettive che però vanno sotto il nome di antegenerale e generale; e inoltre, a differenza del mondo del teatro di prosa, non c'è alcuna diaria.
Ciò lo dico in quanto chiunque di noi si ammalasse a metà di una produzione o in prossimità di una prima recita, tutto il tempo perduto nelle prove e magari anche nelle prime esibizioni aperte non pagate (come attualmente sono le prove generali e anti generali pubbliche appunto) non verrebbe risarcito in nessun modo e l'artista che assai probabilmente avesse dedicato un mese della propria vita nella preparazione dell'opera e avesse speso poi concretamente, ben prima di arrivare nella città in cui si sarebbe dovuto esibire, per l'affitto di un residence e per i viaggi sostenuti, non potrebbe in nessun modo chiedere conto al Teatro del risarcimento di queste spese vive, in quanto l'artista lirico è pagato soltanto a recita conclusa. In questi casi, (che non sono così pochi in verità, in quanto più spesso di quello che si crede l'artista è costretto ad abbandonare una produzione per un raffreddore o un'influenza), il guadagno non solo non c'è e si è lavorato gratis, ma peggio ancora si è perso del proprio e, con i prezzi degli affitti odierni in tutte le città italiane indistintamente, neppure poco.
Per questo motivo, ASSOLIRICA ha elaborato una proposta di legge che annulli totalmente il modello onnicomprensivo e ci sia una vera divisione tra le spese vive ed il pagamento delle competenze. Peraltro, da un anno è uscita una legge dello Stato dedicata ad un numero ristretto di professionisti (ma noi di ASSOLIRICA ne facciamo pienamente parte) che già garantirebbe la maggior parte di queste istanze e soprattutto imporrebbe un tabellario onde identificare i cachet minimi da proporre in fase contrattuale, sotto i quali le direzioni dei teatri non potrebbero andare. Il fatto è che i contratti che attualmente stiamo firmando non si sono ancora adeguati a questa legge che si chiama legge dell'equo compenso e sono di fatto tutti fuori norma.
Oltre a ciò Assolirica ha presentato già due anni or sono uno schema generale di progetto di riforma (richiestoci dal Ministero all’interno degli elaborati presentati per
il Nuovo Codice dello Spettacolo) per provare a chiarire una volta per tutte la delicatissima ed intricata questione dell’ambigua querelle giurisdizionalista riguardante le Fondazioni lirico-sinfoniche, ora di diritto privato anche se sostenute da fondi principalmente pubblici (progetto letto ed apprezzato dai tecnici del Ministero della Cultura e su un punto specifico anche dal Mimit - ex Mise).
Ma a tutti è chiaro che passare dagli apprezzamenti, all’accoglimento e poi alla realizzazione legislativa delle proposte ce ne vuole ed il passo non è nè corto, nè scontato, nè conseguente, anzi. Sappiamo però che bisogna segnare una strada e che per farlo dobbiamo cercare di essere uniti e compatti sempre più, in quanto la via percorsa da Assolirica quale Associazione 4/2013, recentemente riconosciuta anche dalla legge 49 sull’equo compenso appunto, può essere strada sufficiente e bastante.
Come mai i cantanti lirici hanno sentito il bisogno di consociarsi? Quali difficoltà sono più ricorrenti nella carriera di un cantante?
Credo che qualsiasi categoria lavorativa abbia necessità di consociarsi per difendere i propri diritti, maggiormente se si tratta, come nel nostro caso, di una categoria fatta da liberi professionisti per lo più a partita IVA. Nel campo artistico questo mondo non ha particolari tutele anche perché, a mio parere, i sindacati storicamente hanno inteso le partite IVA, purtroppo superficialmente ed in maniera arbitrariamente indiscriminata, come il simbolo tout court, quasi la rappresentazione plastica, dell'evasione fiscale. Oltre a ciò gli stessi sindacati, e lo dico con forte rammarico, non sono così interessanti a categorie di lavoratori così piccole, anche se altamente qualificate, in quanto per lo più le suddette organizzazioni abbisognano di centinaia di migliaia di iscritti omogenei e sparsi in misura consistente sul territorio nazionale; motivo per cui non si sono mai impegnati a lottare davvero per strutturare un insieme di norme che garantiscano quelle minime tutele che appartengono invece con assodata consuetudine legislativa a tutti i lavoratori dipendenti e che sono invece precluse al nostro ambito lavorativo.
Per questo motivo cercheremo comunque nel tempo di invertire la rotta e proveremo ad avere un rapporto più organico ed efficace anche con alcune organizzazioni sindacali, (quelle realmente più sensibili al nostro mondo e non solo strumentalmente) sempre tenendo presente che la strada sarà comunque lunga ed il percorso di riconoscimento oggettivo delle minime istanze molto lento.
Come mai è così difficile, per chi inizia la carriera, trovare un agente che lo accolga?
Non so se questa affermazione sia totalmente condivisibile. L'inizi sono difficili per tutti, in qualsiasi campo e per qualsiasi mestiere, almeno in Italia; anche per i ragazzi plurilaureati e specializzati dopo anni di tirocinio altamente qualificante, in qualsiasi ramo occupazionale.
Nel nostro ambito lavorativo noto, per contro, che le agenzie si riempiono continuamente di nuove leve e nuovi cantanti; non così piene però di cantanti italiani e questo è per noi di Assolirica il problema vero: le agenzie, quelle italiane intendo, sono sempre più ricche infatti di cantanti provenienti o dall'Oriente o da paesi slavi e balcanici: per lo più giovani professionisti molto capaci, preparati, pronti al debutto e quindi facilmente vendibili. Onde per cui se la qualità ci fosse, verrebbe da pensare che non sia poi così impossibile che si venga opportunamente inseriti in un sistema produttivo di lavoro.
Il discorso vero da fare riguarda a questo punto la formazione italiana dei propri cantanti, primieramente a causa dell'imbarazzante carenza educativa riscontrata nell’organizzazione didattica dei nostri Conservatori; quindi il problema da affrontare è quello inerente la formazione qualificata del giovane professionista della lirica in Italia, in funzione di una corretta continuazione della tradizione della tecnica del canto lirico italiano. E’ un problema a cui Assolirica ha dedicato moltissime energie proprio negli ultimi dieci anni, da quando è partito il lunghissimo e faticoso iter per il riconoscimento Unesco, giunto a compimento nel dicembre del 2023; energie che per ora hanno portato a qualche attestazione di merito, ma che da sole non bastano a risolvere gli annosi problemi della formazione musicale nel nostro Paese e che richiedono per ciò, da ora in poi, una messa a terra concreta e operativa. Proprio grazie al lungo lavoro promosso in primis da Assolirica per il riconoscimento Unesco, e all’esperienza che da questo ne è scaturita, l’Associazione nazionale degli Artisti lirici italiani ha il dovere di sottolineare e rendere palese come il problema della formazione didattica ai fini di una corretta trasmissione del bene immateriale (la tecnica italiana del canto lirico, in questo caso) debba diventare da ora il poi il vero focus su cui indirizzare le energie organizzative ed economico-educative nel nostro Paese, che manca da sempre (a differenza dell’altissima scolarizzazione, fin dai primi anni di pratica musicale tout court, delle civiltà centro/orientali europee) di una strutturazione didattica competente della materia musicale in genere.
A supplire alla mancanza degli insegnamenti di base, si è delegato il tutto ai soli Conservatori, quali scuole di “alta specializzazione”, che da un po’ di tempo LAUREANO i diplomati. I Conservatori presenti sul nostro territorio quindi si presentano come para-Università, nelle quali si accede dunque nella sostanza (in alcuni casi e certo così è per il canto) solo dopo i 18 anni, senza che negli anni precedenti si siano creati i presupposti didattico/organizzativi per apprendere i rudimenti e le basi delle varie pratiche esecutive vocali-strumentali. Non è difficile capire da tutto ciò (e questo è solo uno degli aspetti fortemente carenti dell’organizzazione italiana dell’insegnamento musicale) che sarà sempre più difficile per noi, artisti italiani, trovarsi competitivi a livello internazionale con civiltà molto più avanzate della nostra nel campo della formazione musicale, dove a 18 anni la maggior parte dei giovani professionisti stranieri iniziano le loro carriere e si presentano ai concorsi con bagagli di esperienza didattica quasi decennale. Esagerando un po’, ma non troppo, mentre noi ci impegniamo ad insegnare ai nostri ragazzi il Bona, il Bayer, il Ševčík o il Vaccaj [nota dell’intervistatore: si tratta di manuali con i rudimenti di base della musica], in tutto il resto del mondo si legge alla stessa età Edgar Varèse, e si esegue Schumann (quando non Rachmaninov), Brahms (quando non Berg) o Verdi e Janacek. E’ chiaro che non c’è partita. E tutto ciò non solo perché da noi si inizia a studiare molto più tardi (parliamo qui di scuola pubblica e non degli insegnamenti privati che ognuno di noi potrebbe acquisire già dall’età di cinque/sei anni), ma anche perché le modalità in cui è strutturato l’insegnamento para-universitario (comprensivo per ciò di una dovizia di materie collaterali teoriche, tutte interessantissime, qualora uno decidesse però di laurearsi in musicologia) penalizza fortissimamente le ore di pratica e tecnica dello strumento scelto (canto compreso). Il discorso sarebbe a questo punto davvero molto lungo e ci si augura che prima o poi anche a livello Ministeriale si possa operare radicalmente in questo campo, per invertire in qualche modo l’assurda deriva, nella quale, nella maggior parte dei casi, si diplomano/laureano persone che non faranno mai, alla fine del loro percorso didattico, il mestiere del musicista, e soprattutto, con queste premesse, mai saranno atte a vincere un concorso internazionale o partecipare a delle Accademie di perfezionamento dopo una selezione aperta !
Oltre a ciò, ultimamente (soprattutto riguardo alla trasbordante presenza di orientali nei nostri Conservatori e nelle nostre scuole di specializzazione) si aggiungono ad esempio protocolli educativi d’intesa tra il nostro Paese e la Cina (vedi il “progetto Turandot”) che favoriscono da una parte la diffusione del bene vocale italiano tra i discenti orientali, ma che poi per un contorto sistema di pesi e contrappesi, sfavoriscono paradossalmente alla lunga gli alunni italiani. E’ un argomento complesso che come Associazione di categoria ci ripromettiamo di sviluppare in maniera più completa ed organica anche con il ministero della Cultura, in quanto una riforma organica del sistema di apprendimento e di specializzazione musicale volta all’ottenimento della formazione di giovani professionisti di alto livello è assolutamente necessaria se non vogliamo bearci ottusamente dell'ottenimento della protezione UNESCO per l'arte del canto lirico italiano, ritrovandoci a breve paradossalmente senza cantanti italiani di livello che calchino i palcoscenici internazionali.
Per rispondere dunque alla sua domanda, credo che se un giovane cantante italiano dovesse dimostrare doti solide ed inoppugnabili, non troverebbe difficoltà ad iniziare la propria carriera.
Spesso si sente parlare di tentativi di truffa verso chi cerca di muovere i primi passi nel mondo della musica. Assolirica ha fatto qualcosa al riguardo? Chi crede di aver patito delle ingiustizie può rivolgersi a voi?
Chi subisce ingiustizie nel nostro mondo lavorativo deve rivolgersi ad ASSOLIRICA, che ha al suo interno consulenti legali e fiscali. E’ chiaro che ASSOLIRICA non può entrare nel merito di questioni che abbiano carattere artistico in quanto le scelte artistiche di direttori o dei sovrintendenti non possono essere discusse da un'organizzazione che tutela i principi base di carattere economico e legale. Non voglio dire che le scelte artistiche siano insindacabili in assoluto (ci sono casi di proteste di artisti poco noti, ma valenti, a favore di nuovi subentrati più protetti, nei riguardi dei quali si potrebbe intervenire solo qualora si evidenziassero criticità oggettive nella corretta formulazione dei procedimenti) però queste vanno difese dai singoli agenti e non da un'associazione di categoria. Invece per quanto riguarda le truffe, queste sono all'ordine del giorno per chi inizia a muovere i primi passi e si affida, per i propri debutti, ad associazioni musicali assai discutibili quando non truffaldine: promesse di recite che poi non ci saranno, promesse di rimborsi spese che poi non avverranno, promesse di cachet entro un limite di tempo ragionevolmente prestabilito che poi slitta in alcuni casi anche di anni !!! Ecco che in questi casi ASSOLIRICA interviene con tempestività presso la Direzione Generale dello Spettacolo dal vivo, oltre che con il proprio legale, e quasi sempre ottiene risultati largamente soddisfacenti.
Quanta è la libertà di scelta di un cantante? Può cantare quello che si sente di cantare o le agenzie pongono dei vincoli precisi?
Dipende innanzitutto dalla fama e dunque dal potere contrattuale del cantante: più un cantante è celebre più ha la possibilità di scegliere soprattutto cosa NON cantare, quando invece sovente all’inizio della carriera si è più propensi ad accettare qualsiasi tipo di scrittura su repertori indiscriminati pur di lavorare e di far girare in qualche modo il proprio nome.
Ovviamente non per tutti è così, in quanto esistono casi (non proprio frequentissimi a dire il vero) di cantanti che fin da subito stabiliscono che, oltre un certo limite o un certo repertorio, non vorranno mai inoltrarsi (a meno di verificare poi, nel corso degli anni, che grazie all’evoluzione naturale della loro voce, oltre che all’esperienza e al consolidamento della tecnica, ciò che a priori sembrava difficile da affrontare, poi si sarebbe potuto eseguire, perché ciò che all’inizio della carriera poteva sembrare un repertorio lontano dalla naturale predisposizione timbrica/tecnico vocale ora iniziava a diventare connaturato e consono ai propri mezzi.)
In linea generale comunque la libertà di un cantante non è così grande, ma non sempre ciò è un male, in quanto talvolta le scelte di un direttore artistico competente e coraggioso (e talora ce ne sono) potrebbero riservare delle sorprese anche al cantante stesso che, di suo, non immagina di poter riuscire a risolvere certe specificità vocali. Quanto alle agenzie, anche qui il discorso dovrebbe essere analizzato caso per caso e molte agenzie provano (anche contro le ambizioni del cantante stesso) a proteggere la sua vocalità; per contro ce ne sono alcune (anche di grande giro) che sfruttano senza alcuno scrupolo il cantante di grido del momento, facendolo cantare troppo, in troppi repertori. Ve n’è chi se ne accorge per tempo e lascia la grande agenzia senza scrupoli, talvolta rimettendoci molto nella fase dell’abbandono, e chi, ignaro delle conseguenze e soddisfatto degli immediati guadagni, alla lunga ci rimette le penne. Ecco perché sarebbe sempre il caso di iniziare le prime collaborazioni con agenzie medio piccole che tendenzialmente suggeriscono la via corretta per una omogenea carriera progressiva, e solo dopo, in un secondo momento, ma con la piena consapevolezza dei propri mezzi, iniziare a relazionarsi con le grandi agenzie internazionali, con la piena conoscenza dei rischi e dei vantaggi che ciò potrebbe comportare.
Un ultimo appunto però anche sui direttori d’orchestra: il cantante di fama, dalla bella voce e fresco di vocalità giovanile, subisce spesso l’innamoramento (in alcuni casi solo timbrico o di accento) di alcuni importanti direttori d’orchestra, che non sempre necessariamente sono dei buoni e saggi protettori della vocalità; questi, in alcuni casi, spingono le fresche promesse canore, che accettano le improvvide proposte, ad inoltrarsi in repertori talvolta assai lontani dalle relative capacità tecniche, favorendo così, in voci non particolarmente robuste e resistenti, un rapido declino.
Ma è sempre una questione di casi singoli e generalizzare non ha alcun senso, come non ha neppure senso provare a indicare tendenze di massima, perché tutte le epoche hanno avuto direttori sensibilmente tecnici, attenti alla voce cantata, insieme a grandi interpreti sinfonici e/o operistici che di vocalità capivano assai poco, così come in ogni epoca sono esistite grandi vocalità puramente naturali, che hanno resistito all’usura degli anni anche senza tecnica alcuna (o quasi) ma solo grazie ad una tenuta fisica eccezionale e ad una fortunata salute duratura, rispetto a vocalità tecniche raffinatissime che magari hanno avuto carriere brevissime per incidenti di percorso o per una naturale predisposizione ad una gracilità fisica.
Negli ani il lavoro ed il ruolo degli agenti sembra essere cambiato molto. Un tempo cercavano voci giovani da accompagnare, sostenevano la loro formazione, lavoravano sul repertorio, cercavano di far maturare le voci. Le carriere duravano decenni ed i repertori crescevano lentamente. Adesso la sensazione è che le belle voci vengano spinte a ruoli decisamente arditi, come Lady Macbeth ed Abigaille, trasformando quelli che un tempo erano punti di arrivo in trampolini di lancio. Cosa è cambiato? La preparazione nei Conservatori, l’atteggiamento delle agenzie, le richieste dei teatri?
Proprio per quanto appena detto sopra, io non sarei d’accordo sull’affermazione iniziale: quarant’anni fa alcuni agenti di gran fama e di giro mondiale erano iene senza scrupoli, tali e quali a quelli che potremmo trovare nel mondo odierno e non è assolutamente vero che un tempo le carriere erano di media così longeve, anzi ! Non è mai esistito un momento nella storia dell’esecuzione vocale in cui l’età media dei cantanti sia così alta come ai giorni nostri: oggi non ci si scompone se un interprete canta normalmente in tutti i teatri del mondo a sessanta o sessantacinque anni. Un tempo quella era l’età della fine assoluta della carriera e comunque della piena ed evidente decadenza vocale (con le dovute eccezioni come in ogni caso ovviamente): Ma se dobbiamo valutare per grandi numeri ora si hanno carriere di media molto, ma molto più lunghe di un tempo e parto dall’analisi delle biografie di tutti quei grandissimi cantanti che oggi possiamo studiare anche attraverso le “fuorviantissime” testimonianze discografiche degli inizi ‘900 e che a cinquant’anni avevano in sostanza terminato le loro folgoranti carriere, per arrivare fino agli anni ’60…Poi è cambiato quasi tutto, anche nella nostra salute individuale e nei modi della nostra alimentazione visto che arriviamo ai giorni nostri appunto in cui, pur viaggiando costantemente in aereo da una parte all’altra del mondo, la tenuta vocale della maggior parte degli interpreti lirici è assai superiore a quella dei predecessori (parlo di tenuta vocale, non di bontà interpretativa o presupposta correttezza tecnica).
Mi consenta però di chiarire il “fuorviantissime”, relativo alle testimonianze fonografiche che vanno dagli inizi del’900 a tutti gli anni ’30: lo dico perché di volta in volta (quasi da quinquennio a quinquennio) bisognerebbe essere capaci di conoscere le tecniche di registrazione e individuare in esse le esasperazioni che la ricezione sonora nei diversi casi mette in evidenza (eccessiva nasalizzazione, colpi di glottide, vibrato stretto e così via), che altrimenti si rischia di formarsi un gusto od un’estetica in base a falsi oggettivi: per capire meglio cosa intendo, direi che tutti i cantanti che giustamente vogliono studiare e capire anche le esecuzioni e le tecniche del passato, attraverso le testimonianze fonografiche, dovrebbero ascoltare l’esperimento che in America ha fatto nel 2012 se ricordo bene il tenore polacco Beczala incidendo un paio di arie con un sistema di registrazione sonora degli anni ’20 circa, esperimento dal quale si evince ovviamente la voce di Beczala così come noi la conosciamo, ripresa dalla telecamera odierna e poi quella che sarebbe uscita una volta incisa su un disco antico e riprodotta con fonografi coevi: una voce ovviamente molto, ma molto diversa e con caratteristiche esasperate in alcuni aspetti che nella voce “naturale” di Beczala non esistono affatto !
Qualche decennio di anni fa, grandi cantanti, come Magda Olivero, hanno condotto brillanti carriere internazionali senza avere un agente. Oggi sarebbe ancora possibile?
No ! Però se qualcuno oggi fosse parente, od amante di un direttore o di una direttrice di qualche grande Major discografica o di uno/a Sovrintendente di qualche grandissimo Teatro internazionale, per qualche anno potrebbe farcela !
Secondo Assolirica quali modifiche andrebbero fatte all’attuale normativa riguardo fondazioni e teatri?
Che le Fondazioni lirico-sinfoniche non siano più Enti a geometria variabile e che si chiarisca una volta per tutte in maniera non ambigua la natura giuridica dei Teatri lirici finanziati dallo Stato.
Una delle questioni sollevate dal dottor Silvestri, rappresentante della Ariacs, in una intervista pubblicata su LaPlatea.it, era che al momento le spese dell’agenzia sono a carico dei cantanti. Vi sembra corretto o non sarebbe giusto che venissero sostenute anche dai teatri, in modo da rendere la prestazione meno onerosa?
Noi di Assolirica abbiamo scritto proprio insieme ad Ariacs e quindi insieme al Dottor Silvestri, con la supervisione di Massimo Pontoriero presidente di Unisca, un’ipotesi ordinata di decreti attuativi relativi all'ultima legge di riforma sullo spettacolo dal vivo, tra i quali ve n’è uno che riguarda appunto la proposta di una divisione al 50% delle spese relative alle agenzie, distribuita equamente tra artista esecutore o facente parte del team creativo e Teatro committente, così come avviene, da innumerevoli anni, in moltissimi paesi europei.
Molte agenzie hanno sede all’estero, pur lavorando moltissimo nel nostro paese. Questo, oltre al fatto che le tasse sulle provigioni sui contratti svolti nei teatri italiani non vengono pagate in Italia e quindi comunque diminuisce le entrate, sembra favorire i vostri colleghi stranieri, che fanno da padroni in alcuni cartelloni, anche nei ruoli non protagonistici. Come giudicate la situazione? È solo una sensazione o di fatto i cantanti italiani hanno meno possibilità di lavoro ? come è la situazione negli altri paesi europei?
Parto dalla fine: negli altri paesi europei, in effetti la presenza di cantanti stranieri, che non siano prime o seconde parti, quasi non esiste. Pur non potendo, per un insieme di leggi europee, usare una sorta di protezionismo nei confronti dei cantanti del proprio paese, i teatri stranieri, quelli spagnoli, francesi, tedeschi e così via, chiamano in percentuale altissima gli artisti della propria nazione; l'Italia probabilmente è malata di esterofilia e visto che spesso per avere il grande cantante di grido, proposto dalla grande agenzia internazionale, questa propone un pacchetto dove inserisce anche seconde parti o comprimari non necessariamente italiani, i teatri italiani si adattano. Ma c’è un pericolo ancor più grave che incombe sulle teste e sulle carriere degli artisti italiani di seconde parti e del comprimariato ed è quello delle Accademie di perfezionamento di canto. Quasi tutte le fondazioni lirico sinfoniche ne hanno una, il che in astratto non sarebbe un male, se queste rispettassero alcune norme basilari e cioè che i cantanti formati nelle accademie di perfezionamento si esibissero poi nei relativi teatri, in produzioni specifiche a loro dedicate e non completino i cartelloni di tutti i ruoli comprimariali tradizionalmente affidati, fino a poco tempo fa, ai cantanti comprimari italiani che di questo vivono. Anche perchè si viene a creare per di più una doppia ingiustizia: da una parte i ragazzi stranieri, spesso anche molto bravi, che riempiono le nostre accademie vengono sfruttati quando partecipano sia come seconde parti che come comprimari alle produzioni principali del teatro di cui fanno parte, in quanto vengono pagati molto al di sotto di quello che sarebbe il minimo contrattuale (e non dimentichiamoci per altro che loro l'Accademia la fanno per potersi esibire in ruoli principali e nessuno penserebbe mai di venire in Italia per specializzarsi nel comprimariato; onde per cui per due anni fanno una cosa che poi nel loro paese o all'estero non riproporranno mai più e facendola per un periodo così limitato nel tempo non imparano neppure i segreti di un mestiere così particolarmente specifico quale quello del caratterista); dall’altra tolgono, a bassissimo prezzo, il lavoro ad un'intera generazione di artisti indigeni che hanno deciso spesso di non entrare in una formazione stabile con uno stipendio assicurato, ma hanno rischiato di persona un'attività individuale e che ora si ritrovano improvvisamente senza lavoro alcuno.
Per rispondere poi al primo punto della domanda, direi che il problema della tassazione delle agenzie che hanno sede all'estero riguarda soprattutto il fisco, che dovrebbe vigilare qualora queste agenzie siano solo nominativamente agenzie estere. Comunque anche su questo punto insieme ad Ariacs abbiamo scritto una serie di proposte legislative atte ad evitare il diffondersi a dismisura di questa pratica ingannevole nei confronti del Fisco, portatrice inoltre di una concorrenza sleale nei confronti di tutte quelle corrette Agenzie con sede regolare in Italia che pagano regolarmente tutte le tasse dovute allo Stato !
In Italia ci sono, oltre alle Fondazioni, numerosi teatri di tradizione, che fino a qualche anno fa erano ‘palestre’ per i giovani artisti che maturavano il repertorio, imparavano a stare in scena e capivano anche quale fosse il repertorio più adatto per loro. Adesso la situazione sembra cambiata, con una forte presenza di voci estere e di cantanti già da tempo in carriera. È solo un’impressione od in effetti anche questa è una criticità del sistema?
No, la situazione è proprio così: di fatto la palestra in Italia non esiste più quasi per nessun cantante, (ma neppure per nessun direttore d’orchestra o rappresentante di un team creativo) se escludiamo alcune sporadiche storiche compagnie di giro, come, solo per citarne una, Fantasia in Re di Stefano Giaroli di Reggio Emilia, e che sono oramai sempre più rare. Queste poche rimaste sono però benemerite e quasi salvifiche, perché permettono al giovane interprete di potersi provare in ruoli principali senza lo stress del debutto in un grande teatro. I cosiddetti teatri di tradizione sono diventati invece delle imitazioni delle grandi Fondazioni lirico-sinfoniche e non è così insolito trovare nei loro cartelloni nomi che cantano tradizionalmente all'Arena di Verona, alla Scala di Milano o magari anche al Metropolitan di New York. Tutti vogliono oramai il grande nome temendo di non riuscire più a riempire il proprio teatro. Non ho elementi concreti per stabilire se questo timore sia reale o presupposto, in quanto non ho mai svolto nella mia carriera incarichi di natura dirigenziale amministrativa presso nessun Teatro; però ho il sospetto che un'intera generazione di cittadini amanti della lirica, soprattutto nei teatri di provincia, sia andata lentamente ad estinguersi non necessariamente ripopolata dalle nuove generazioni. Ed ecco che invece di pensare per tempo a delle vere politiche di introduzione all'opera ed al teatro, promosse dagli Assessorati alla Cultura in sinergia con i Teatri stessi per la costruzione di un nuovo pubblico, si prendono delle comode scorciatoie. Si tende quindi, per riempire le sale dei propri teatri a rivolgere il proprio marketing ai professionisti di mezza età che possono permettersi un biglietto ben più caro di quello di una sala cinematografica, stimolando il loro interesse soltanto con i grandi nomi di cartello e per di più, assai spesso, con i soliti titoli d'opera, riproposti decine e decine di volte; titoli ed interpreti insomma che garantiscano l'affluenza quasi automatica di un pubblico pagante e forse passivamente appagato, ma sicuramente poco critico e curioso.
Scorrendo le programmazioni teatrali si ha la sensazione che esistano delle agenzie che hanno un peso molto maggiore delle altre, tanto che in alcuni titoli la maggior parte degli interpreti ha lo stesso agente, con tutti i problemi di equilibrio che questo può portare. Si tratta di una impressione o di una situazione reale? Ed in questo caso quanta parte di questa situazione è attribuibile alle agenzie e quanto ai teatri?
Spesso è così, ma non è una novità. Direi che è sempre stato così e che il monopolio di grandi agenzie è sempre esistito ed immagino che sempre esisterà; non è neppure un problema di maggiore o minore responsabilità dell'agente o del Teatro: è assolutamente naturale che se un agente possiede 30 cantanti di cartello di altissimo livello, un teatro che possa permetterselo, lavorerà principalmente con quella Agenzia lirica per garantire al proprio pubblico e ai propri abbonati un livello artistico qualitativo alto. E’ evidente che tutto ciò comporta tutta una serie di piccole ingiustizie nei confronti delle agenzie più piccole e dei cantanti meno protetti ma questo esiste in tutti i mondi lavorativi dello spettacolo e anche dello sport, dove la figura dell’agente è preminente e spesso dirimente. Se poi volessimo aggiungere provocatoriamente che oggi, almeno in Italia, alcuni Agenti talora sono più competenti di alcune direzioni artistiche nel costruire cartelloni e cast a loro piacere, garantendo tuttavia una qualità non criticabile, avremmo messo la ciliegina sulla torta.
Ma il danno invece che ciò comporta è altro ancora ed è anche di natura culturale: e su questo dovrebbe vigilare lo Stato (che fino a poco fa aveva all’interno del Ministero della Cultura un Osservatorio per monitorare anche l’aspetto che andrò a descrivere, ed ora immagino che si aspetti di riproporlo una volta diventata operativa, tramite l’approvazione dei decreti attuativi, la nuova legge sullo Spettacolo dal Vivo).
Se partiamo dal presupposto che le 14 Fondazioni lirico-sinfoniche sono state istituite non solo per essere presenti in maniera più o meno omogenea sul territorio nazionale, ma anche per sviluppare ciascuna una sua specificità, quasi territoriale (ad esempio, senza alcun dubbio negli anni ’70 ed ’80 Trieste si caratterizzava per la forte presenza costante del mondo operistico slavo e di quello wagneriano e straussiano, Napoli per una ricerca di recupero del Teatro Settecentesco non più rappresentato, Torino per un attenzione maggiormente rivolta al Teatro contemporaneo e così via…), la ingerenza massiva di alcune Agenzie dominanti determina per contro la presenza costante in tutti i cartelloni degli stessi artisti, ma peggio ancora (visto che spesso le programmazioni vengono fatte alla rovescia, partendo cioè dalle preferenze esecutive del cantante di grido), anche di rimando, degli stessi titoli. E anche qualora un gruppo di artisti decidesse di provarsi in un’ opera fuori repertorio tradizionale, quella verrebbe allora riproposta nel giro di due o tre anni in tutti quei teatri che volessero avere quel gruppo di artisti, consentendo così loro di monetizzare senza troppo sforzo l’impegno di studiare un’opera nuova in parte desueta. Un sistema perverso che nuoce alla varietà culturale delle proposte artistiche e alla necessaria differenziazione dei Teatri sparsi sul territorio nazionale.
Certo è che se avessimo direzioni artistiche e/o Sovrintendenze di altissimo livello culturale non necessariamente nominate dalla politica intesa in senso lato, FORSE potremmo trovare qua e là figure dirigenziali che agirebbero con maggiore autonomia e ricerca della qualità, anche indipendentemente dalle proposte delle grandi agenzie.
Questa impressione è motivata anche dal fatto che scorrendo i nominativi degli artisti inseriti in Operabase, ci si accorge che c’è un continuo travaso da un’agenzia all’altra. Cosa motiva questo comportamento? Quale tipo di supporto dovrebbe dare un bravo agente agli artisti che lavorano per lui?
Il problema del travaso di Artisti lirici (e tra questi intendo, come ho già detto prima, anche registi, scenografi, costumisti, light designer, direttori d’orchestra e non solo cantanti) da un'agenzia all'altra è un altro fatto molto comune negli ultimi 30 anni. Per scherzare si potrebbe dire che c'è quasi un parallelismo tra la situazione dei grandi calciatori e quella dei cantanti di oggi con le stesse realtà parallele di 30/40 anni fa, dove i primi erano naturalmente legati alla maglia e alla città che questa rappresentava, mentre ora passano, per motivi di interesse economico con facilissima disinvoltura anche ogni due anni, da una squadra all’altra; bene: i cantanti talvolta fanno lo stesso anche se il motivo non è sempre e solo economico. Principalmente gli esecutori sono figure psicologicamente molto fragili: solo quando sono in scena sono solidi e forti, ma appena escono dal palcoscenico, perlopiù attendono segnali di pura forte approvazione che sia sufficientemente compensativa alle loro insicurezze (quasi sempre mascherate ingenuamente da arroganza e spavalderia). Ecco perciò che appena si sentono (o credono di essere) lievemente trascurati dal proprio agente che fino a l’altro ieri li aveva portati sugli scudi (ed oggi magari sta seguendo parallelamente anche la brillante carriera di un altro collega), interpretano ciò come un tradimento insopportabile e vanno in cerca di un’ altra figura paterna protettrice che li rimetta al centro unico del loro interesse. Non c'è agente, anche il più bravo e onesto, che possa sottrarsi a questa stortura psicologica di rapporto che si scontra con la fragilità quasi endemica, ma paradossalmente necessaria, dell'interprete lirico.
Poi è normale che ci siano situazioni nelle quali il passaggio da un’Agenzia ad un’altra possa essere più che giustificato, perché maturato magari dopo anni di piccoli ingiustizie o da una sottovalutazione oggettiva da parte dell’agente delle capacità del proprio artista, ma più frequentemente questa sorta di diaspora nella quale l'artista lirico si trova a viaggiare, immaginandosi sempre privo di una patria reale solida ed acquisita, fa parte di una tensione psichica in taluni casi necessaria a sviluppare poi energie in palcoscenico.
Ci sono cantanti italiani che sembrano banditi dai nostri teatri, nonostante le recensioni positive ed i successi internazionali. Oppure interpreti che dopo una partenza carica di aspettative, si ritrovano a cantare ruoli di secondo piano, quando non spariscono dai cartelloni, senza spiegazione apparente. Contemporaneamente ci sono cantanti che cantano ovunque, con un repertorio amplissimo, anche arrivando all’ultimo momento e saltando molte delle prove. Che spiegazione dà a questo fenomeno? Quanto conta essere bravi, avere la giusta agenzia, avere fortuna per portare avanti una carriera di successo?
Lei mi pone delle domande assai insidiose, perché pur rappresentando una casistica oggettiva reale, a questa non si può dare una risposta univoca in quanto davvero, dopo tanti anni di esperienza in teatro, potrei dire che ogni caso è un caso a sé. Partendo dalla fine potrei dire che se uno davvero non è bravo, potrà per un po' darla a bere, ma dopo un po' la sua carriera finirà; quindi conta senz'altro essere bravi, ma ciò non è ragione sufficiente per lavorare con costanza, quindi è meglio essere supportati da una solida Agenzia; ma anche in questo caso la buona Agenzia che magari è buona per l'artista perché è sensibile, lo segue e non lo sfrutta, non è detto che sia sempre un'Agenzia amata dai grandi teatri e quindi: per buon Agenzia intendiamo un'agenzia ben piazzata nel mercato o buona e sensibile con l'artista?
In realtà molto fa l’artista perché conta molto il rapporto personale che questo intesse con i direttori d’orchestra, i maestri sostituti, i registi e le singole persone che gestiscono i teatri e a tutti i livelli. Persone, che poi negli anni, lui stesso ritroverà in altri teatri e in altre cariche, prima o poi apicali, ed ecco perchè sarà da subito essenziale l’aver instaurato rapporti di cordiale e corretta relazione con il settore organizzativo-dirigenziale. Poi la fortuna ovviamente conta, come conta la salute che è la cosa principale in una carriera.
Quanto ai cantanti che arrivano all'ultimo momento senza aver provato, anche questa è una pratica antica e ai grandi lo si è sempre concesso. Certo non in maniera così sfacciatamente automatica e generalizzata come oggi, dove alcuni interi cast di fatto si presentano oramai impunemente quasi solo alle recite, senza prove musicali con il direttore e quasi senza indicazioni registiche, (quelle per le quali tutto il resto del cast si fa di media venti giorni di prove !), perchè garantiti e supportati da grandi agenzie onnipotenti. Io ho il sospetto che tutto ciò prima o poi finirà, perchè ciò riguarda anche la sfacciata arroganza di una forza contrattuale di una parte e la debolezza culturale/politica dell’altra. Ma sono cicli che mutano, appena mutano le persone e le loro qualità individuali.
Certo che la pratica di cui lei parla, e che in effetti esiste, è soprattutto moralmente deprecabile, perchè normativamente crea una clamorosa disparità di lavoro (e quindi anche di spese sostenute in un mese di prove) tra “gli onesti molti e i protetti pochi”, per parafrasare la Morante, anche se ciò non riguarda ahimè necessariamente la qualità artistica della singola recita: ho appena finito delle recite di un'opera verista in cui uno dei protagonisti maschili è arrivato ad una sola prova di corsa da Londra con l'aereo in ritardo. Anche le due recite che gli erano state affidate le ha fatte in questa maniera e al confronto di noi, che stavamo da un mese a provare, lui ha fatto solo quei tre giorni. Nonostante ciò è stato l’interprete più applaudito di tutto il cast e al di là del problema etico, (che proprio per ciò deve essere regolamentato a livello legislativo !) rimane solo da augurarsi che l’interprete in questione sappia cautelarsi da un’ Agenzia che lo sfrutta con questi ritmi, perchè ora che è ancora relativamente giovane, regge, ma alla lunga la sua salute vocale potrebbe risentirne pesantemente, determinando anzitempo, da una parte la fine della sua luminosa carriera, ma dall’altra anche una vera e propria perdita per il mondo della Lirica.
La sensazione è che tutti sappiano da diversi anni quali sono i problemi reali del mondo del teatro dell’opera, ma che solo in tempi recenti qualcosa stia cercando di muoversi. Cosa è cambiato?
Il COVID. Questa è l'unica cosa che aveva fatto prendere coscienza al mondo intero dello spettacolo dei veri problemi che lo attanagliano e della mancanza totale di tutele che lo contraddistingue. In realtà tutta questa sensibilità così forte nel 2020 e 2021 ora si sta progressivamente attenuando e tra breve scomparirà del tutto.
Assolirica ha segnalato certe anomalie/ irregolarità presenti nei cartelloni di alcuni teatri italiani? Chi è il vostro referente in questo senso?
Per segnalare le anomalie dei cartelloni di molti teatri italiani, principalmente quelle relative a una clamorosa maggioranza di cantanti stranieri sia nei ruoli principali che in quelli secondari, noi abbiamo come referente il Ministero della Cultura e per segnalare le irregolarità nei ritardi, spesso ingiustificati, dei pagamenti del cachet (vi sono casi che raggiungono anche l'anno o l'anno e mezzo di ritardo oltre alla data concordata in contratto !) come referente abbiamo il Direttore dello Spettacolo dal vivo, nella persona del Dott. Parente che è professionista espertissimo, fermo ed onesto e persona squisita.
Pare esistere un rapporto ‘speciale’ fra la direzione di certi teatri ed alcune agenzie. E’ solo un’impressione od è qualcosa di più tangibile? Se fosse così, come si sente un cantante, preparato ed in ottima condizione vocale, a non essere neanche preso in considerazione? È un torto o di fatto un consolidato metodo accettato e condiviso?
Non credo che esista un rapporto speciale tra la direzione di certi teatri ed alcune agenzie. Semplicemente i teatri con più soldi intrattengono con maggiore frequenza rapporti consolidati con le agenzie più grandi. Un cantante (o un direttore o un regista) preparato ed in ottima condizione vocale, se vuole essere preso in considerazione, può tentare di entrare in una di queste agenzie, altrimenti vivrà il tutto come un torto, ma anche allo stesso tempo, come lei dice, come un fatto consolidato accettato e condiviso.
Diverso e gravissimo sarebbe il discorso qualora una o più agenzie riuscissero ad avere non tanto e non solo un rapporto preferenziale con i Teatri, ma con la politica tout court e/o con figure ministeriali: in questo caso si potrebbe verificare la malaugurata ipotesi che l’eventuale imposizione di cast privilegiati (e anche, come detto prima, di titoli scelti a caduta dal cast e non viceversa) diventi condizione necessaria a garantire alle dirigenze di turno dei Teatri pubblici, (che accettassero questi pacchetti esecutivi), una eventuale riconferma nei loro incarichi; e tutto ciò magari anche solo per millantato credito…una situazione assolutamente paradossale e rovesciata rispetto alle consuetudini, dove alcune Agenzie potrebbero garantire nella sostanza il mantenimento delle cariche dirigenziali alle figure apicali delle Fondazioni !
Ma questo è uno scenario che noi auspicheremmo possa avvicinarsi più alla fantascienza che alla realtà.. Comunque è sempre opportuno vigliare, perché talvolta anche le cose più impensate accadono realmente…
In altro campo, mai avrei pensato nella mia vita di vedere un numero sempre più consistente di esponenti pubblici ostentare simboli o atteggiamenti nazisti o parafascisti; eppure questo sta accadendo quasi nell’indifferenza assuefatta dell’opinione pubblica e talora anche nella giustificazione di certe sentenze ! Per cui antenne sempre diritte e mai credere che l’impensabile non possa prima o poi avverarsi !
Quanto è il peso nelle scelte del cast del Sovrintendente e quanto del Direttore artistico?
Anche in questo caso, per quanto concerne l’Italia, non posso, vista la pratica, dare una risposta che valga per tutte le situazioni: in linea di massima il Sovrintendente dovrebbe rivolgere le proprie cure e attenzioni verso la tenuta economica del Teatro che dirige e segnalare eventualmente al Direttore artistico la non sostenibilità di talune ipotetiche proposte (sia di cast che di allestimento, ma anche di repertorio, qualora l’opera preveda un numero abnorme di interpreti) in quanto possibili cause di superamento dei limiti del bilancio. Ma non sempre è così. In realtà alcuni Sovrintendenti sono (o si sentono) più direttori artistici che esperti di economia aziendale e quindi tengono un direttore artistico semplicemente come collaboratore e non come vero decisore dei cartelloni. Dipende molto dal curriculum e dalla provenienza delle singole persone e dall'equilibrio che tra le due figure si viene a creare in ogni realtà teatrale.
Quanto pesa, secondo voi, la politica nell’assegnazione dei ruoli dirigenziali e quanto la competenza specifica?
D’ istinto, direi 70 e 30 ma mi rendo conto che fatta così sembra più una facile battuta provocatoria che altro. Diciamo però, rispondendo seriamente, che a parità di competenza specifica la politica conta cento.
La riforma ipotizzata dal Ministro andrebbe a mutare questi equilibri? In che maniera?
Non credo che nessuna riforma in Italia potrà mai mutare qualcosa nella pratica reale degli aspetti amministrativi, o mutarla in modo così radicale da impedirle di far incidere il peso della politica. Stiamo attenti però che quando diciamo politica non intendiamo necessariamente quella ufficiale fatta principalmente dai partiti (che contano ancora un po’, ma sempre meno), ma intendiamo un mondo parallelo/quasi sotterraneo o non necessariamente totalmente emerso, assai pervasivo, ma allo stesso tempo concretissimo e reale, composto da una sorta di “associazionismi” più o meno ufficiali, intesi nel senso più lato del termine. In Italia (e anche in altri paesi europei) è così da tanto tempo, forse da sempre, e noi, talvolta fruitori e talvolta anche attori apparentemente attivi, siamo, temo, completamente assuefatti a questo mondo di interessi ambiguamente incrociati. Altre realtà tuttavia esistono, spesso fuori dall’Italia, ed in queste sembrerebbe che la qualità e la competenza stiano, almeno in apparenza, al primo posto e che la cosiddetta politica e le conoscenze arrivino certo, ma in coda !
Quali vorreste fossero i primi passi del nuovo Ministero?
Che scrivesse entro agosto i decreti attuativi della legge Franceschini seguendo le linee guida che abbiamo indicato al ministero relativamente alla nostra riscrittura di un contratto nazionale non più onnicomprensivo e alla rigida osservanza di un nuovo cachettario per gli artisti.
Qual è la proposta che Assolirica vorrebbe vedere approvata dal ministro?
Che la legge sull’equo compenso diventi operativa all’interno dei contratti delle Fondazioni lirico sinfoniche e dei Teatri di tradizione e che il cachettario da noi proposto divenga realmente obbligatorio e non rimanga sulla carta, come attualmente è il cosiddetto cachettario Buttiglione, scritto e pubblicato in Gazzetta Ufficiale ormai 19 anni fa, certamente ancora attivo e non decaduto, ma in realtà mai applicato !
Lei è un magnifico interprete, dalla voce potente, la tecnica solidissima e grandi capacità sceniche. Peraltro la nostra sensazione è che, nonostante i tantissimi successi ottenuti, avrebbe meritato attenzione e successo ancora più ampi. Il suo ruolo in Assolirica l’ha mai messa in difficoltà nel suo lavoro di cantante?
La ringrazio per le belle parole, ma ognuno è realmente creatore della propria fortuna. All'interno di una carriera di due o cinque anni si potrebbe ancora parlare di fortuna o sfortuna, ma all'interno di una carriera lunga se l'attenzione e il successo ottenuto non hanno portato a risultati più ampi, ciò ha indubbiamente una componente personale di responsabilità. Questa non è un'intervista a Nicolò Ceriani in quanto interprete e quindi taglio molto corto per dire soltanto che io mi sono sempre sentito un cantante a metà e ho sempre guardato il nostro mondo più dall'esterno che dall'interno, come se assistessi allo spettacolo e non lo facessi. Oltre a ciò sono infinitamente pigro e per giustificare la mia pigrizia mi racconto la favola che sia disdicevole impegnarsi nell'autopromozione e in effetti non l'ho mai fatto e molti colleghi, in alcuni casi forse anche meno capaci o dotati di me, facendolo, hanno talvolta ottenuto risultati o riscontri più lusinghieri. Ma in realtà va bene così ed è giusto così, perché se quando io finisco una recita scappo dal Teatro, quasi già struccato ai ringraziamenti, perché a quel punto quel luogo mi è divenuto improvvisamente stretto (luogo che amo e al quale do tutte le mie energie finché sono un esecutore sul palco) e non voglio veder nessuno, salutare nessuno, né intrattenere rapporti di cordialità con nessuno e preferisco andarmene a casa, per stare comodo in poltrona a leggere un libro, è ovvio che poi debba pagare lo scotto di questo atteggiamento. Il nostro lavoro è fatto per il 60% di relazioni, il 20% di bravura ed il 20% di fortuna.
Quanto al ruolo di vicepresidente di ASSOLIRICA, questo mi ha messo in difficoltà una sola volta e ovviamente nella mia città, a Trieste, quando protestai pubblicamente in una brevissima intervista televisiva data ad un'emittente locale durante il periodo del COVID, perché il Sovrintendente di allora, Stefano Pace, decidendo finalmente di poter fare un'opera in teatro (si trattava di una Traviata), decise di affidare anche tutti i ruoli secondari a cantanti del coro.
Se le persone non lo ricordano, rammento che tutte le masse artistiche in quell'anno e mezzo di pandemia sono state garantite nei loro stipendi, anche se lievemente decurtati, mentre i solisti non hanno visto alcuna entrata mai: quindi mi sembrava assolutamente ingiusto che persone (tra l'altro si trattava paradossalmente di ex colleghi e di miei cari amici) che comunque ricevevano in un momento di difficoltà generale uno stipendio, dovessero ricevere addirittura un compenso extra a fronte di un’intera categoria, (quella di noi solisti che appunto avevamo il rischio di impresa e che non ricevevamo nessun sostegno) alla quale veniva clamorosamente impedito di lavorare in quei ruoli affidati “necessariamente” e direi “legalmente” a solisti. Il fatto di aver espresso pubblicamente questo semplice concetto e di averlo segnalato alla direzione dello spettacolo dal vivo (nella fattispecie a Roma, al dottor Parente appunto), mi ha causato lì per lì, l'interruzione momentanea dei miei rapporti con la direzione del teatro, la quale immagino si sia sentita forse sottratta da un presupposto diritto di lesa maestà, dimenticando di essere essa stessa un semplice filtro amministrativo tra i soldi pubblici erogati dallo Stato e la comunità dei cittadini-abbonati: i Sovrintendenti in Italia, forse è bene ricordarlo, non sono i proprietari privati dei Teatri che amministrano per un periodo circoscritto di anni, ma semplici amministratori pubblici di soldi pubblici, che rispondono alle leggi dello Stato ! Oltre a ciò in quella situazione (e questa è la cosa certo più imbarazzante e comica al tempo stesso) i componenti apicali della direzione tutta, se mi incontravano casualmente per strada mi levavano il saluto. Evito di commentare…
Possiamo chiedere quali saranno i suoi prossimi impegni teatrali?
Ho appena concluso una serie di recite di Roucher nell’Andrea Chenier a Genova opera che andrò a rifare poi a Torino; ora mi attendono le repliche di un Sagrestano nella Tosca nel cosiddetto giro Toscano (Lucca, Livorno, Pisa e in realtà anche Ravenna) e poi la solita estate in Arena con Rigoletto, Traviata, Nabucco e Carmen. Successivamente dovrei stare a Bologna per una Bohème ed un Barbiere…questo per fermarci al 2025
Per chiudere: cosa augura al mondo dell’Opera Italiana?
Per l'Opera mi auguro ovviamente, da lavoratore interno e da Vicepresidente dell’Associazione nazionale di categoria degli artisti lirici, che tutte le tutele vengano riconosciute per legge ed attuate in maniera costante e assodata. Non vorrei mai vivere in un paese in cui una tutela sembri una concessione casuale e momentanea che ti fa il committente di turno ! In questo caso sarei costretto ad andarmene dall’ Italia, perché non riuscirei a sopportare di vivere in un luogo in cui le lotte dei lavoratori degli ultimi settant’anni, fatte per l’ottenimento delle garanzie elementari di una vita civile, venissero lentamente disgregate e vaporizzate, corrodendo finanche i principi della nostra Costituzione !
Quanto all'Opera, immagino che muterà progressivamente d’aspetto, perché ogni periodo storico nel suo ciclo porta con sé altre abitudini e nuove estetiche.
Ciò che auguro invece all'Italia è di iniziare a costruire una coscienza musicale scolastica che giustifichi davvero la grandezza di questo Paese, che si fa bello dei propri geni musicali, direi provocatoriamente, assolutamente casuali, ma che a livello di conoscenza media è vergognosamente la più bassa di tutti i paesi europei !
Chi è arrivato fino in fondo all’intervista certamente ha conosciuto la grinta e la passione del Maestro Ceriani nel difendere un mondo prezioso e fragile. Speriamo che la sua determinazione porti i frutti che merita e che le istituzioni abbiano il coraggio di coinvolgere sempre di più gli artisti, piuttosto che i politici di professione, nei ruoli cardine del sistema culturale. Non per dare loro un secondo lavoro di cui non hanno bisogno, ma per salvare un mondo che rischia realmente di perdere identità ed ancor più credibilità.
G.M.

