ANNA
In un tempo avaro di dive vere, da qualche anno si è affacciata sulle scene mondiali, con la potenza di un uragano, Anna Netrebko.
Grande artista, prodotto discografico, nuova dea dei melomani?
Difficile da capire. Sicuramente figura di grande fascino.
Un tempo donna bellissima, adesso piacevole signora, che entra nel mezzo secolo con una figura solida ma ancora suadente. Forte di un sorriso accattivante, che centellina con calcolata avarizia, amante delle regie alternative, pronta a danzare in scena ed a sgambettare nei concerti, ha saputo confezionare un perfetto personaggio.
Intelligentissima è riuscita a governare un ingrassamento temporaneo per allontanarsi dai paragoni con la Callas.
Il soprano greco raggiunto un certo successo scolpì il fisico trasformando una ragazzotta sgraziata in una silfide. Con la stessa determinazione convertì i gusti pacchiani dei sobborghi newyorkesi in una raffinata classe, coltivata anche attraverso l’attenzione agli abiti, affidati alla mano raffinata di Biki, ai gioielli sofisticati, al trucco sapiente.
Il soprano russo, invece, accolse i chili che si accumulavano con acuta lungimiranza, ampliandoli con scelte estetiche agghiaccianti. Ma dietro i colori impazziti ed i decori vistosi, accanto alle foto in cui sembrava grufolare, assieme al massiccio ed ancor più vistoso consorte, ciclopici intingoli e foreste di patate fritte, c’era la scelta di distanziarsi dalla vera diva del melodramma del Novecento, da quella Callas che fa ancora tremare le ugole delle sue epigone.
Tanto l’una era eterea e distante dal mondo dei comuni mortali, tanto l’altra si vestiva come se avesse dovuto partecipare ad un raduno di rapper arricchiti, con addosso loghi ed orpelli in abbondanza e scegliendo modellini che avrebbero reso, al confronto, monacali le vesti di Moira Orfei.
Un magnifico messaggio non verbale di rifiuto a cadere nella trappola dei confronti e dei paragoni.
In tante hanno fatto il contrario, cercando di giocare la carta delle similitudini e delle analogie.
Il risultato una vera ecatombe. Anche di voci che sarebbero state preziose.
Certo è che le similitudini sul repertorio delle due primedonne sono evidenti.
Lucia, Anna Bolena, Sonnambula, Traviata, fino alle recenti Turandot e Macbeth sono fra i ruoli chiave di entrambe.
L’ho ascoltata tante volte in televisione e confesso che ne sono rimasto ammaliato.
Una sirena, ma anche una Circe, che ti prende con una voce di sfrontata bellezza, un canto sapiente, note purissime, filati preziosi.
Cosi sembra attraverso il tubo catodico.
Dal vivo l’ho ascoltata in occasione del Macbeth alla Scala.
Uno spettacolo visto qualche giorno prima nella diretta in mondovisione, di un certo fascino e decisamente non scontato. La prima non incontrò plausi unanimi, ma secondo me il soprano né uscì con onore.
Ero certo che l’ascolto dal vivo sarebbe stato, però, ben altra cosa.
Oltretutto faccio parte di quella cerchia di persone che quando vanno a teatro cercano sempre qualche cosa che li entusiasmi, li appassioni, li trasporti altrove e li renda parteci di un momento speciale. Basta poco. Una sfumatura, il profumo di un momento di verità, l’intensità del racconto drammatico, anche solo una manciata di note che ti facciano specchiare in quel momento narrativo.
Pagare per essere scontenti a priori non fa parte delle mie perversioni.
Quindi partiamo con i migliori propositi.
Un posto infelice, dalla visibilità ridotta, ma vicino al palcoscenico avrebbe dovuto assicurare un ascolto privilegiato.
La diva, dopo le critiche del 7 dicembre aveva tutti gli stimoli per sgomberare il campo da qualsiasi osservazione .
In teatro, si respira una aria un po’ strana, come se si fosse ad un raduno di fan, perdutamente innamorati, alla fine temo più del personaggio che della cantante.
Quando la signora Netrebko entra in scena, effettivamente trasuda carisma da ogni dove.
Afferra il ruolo con una autorevolezza regale.
Si muove come Imelda Marcos, riesce ad essere credibile nell’incredibile abbigliamento che descrive in maniera appropriata il carattere di una donna che ha il bisogno assoluto di apparire, alla continua ricerca di approvazione e consensi.
Pacchiana, come solo chi ha una miseria interiore figlia di soprusi e ferite dell’anima può avere, sprezzante nello sguardo, altera nell’espressione, cammina con passo deciso da una parte all’altra della scena, ostentando tacchi mirabolanti e caviglie eleganti.
Hai davanti un personaggio compiuto. Condivisibile o me meno, ma certamente costruito con attenzione e con la determinazione di dribblare ogni paragone dal punto di vista scenico.
Certo la partitura è quella e questo strepitoso incrocio fra un airone ed un pappagallo non passa indenne alla cabaletta che già fu un ostacolo al debutto milanese.
Nessun errore clamoroso, ma nulla che giustifichi i brava che si sprecano, gli applausi concitati.
Di fatto la voce fa fatica ad arrivare.
Lady Macbeth dovrebbe avere, a mio parere, un canto di lava e di acciaio.
La prima per descrivere le immonde brame di potere che ribollono dentro quella donna cui la vita offre la possibilità di una scalata sociale rapida ed inimmaginabile fino a qualche giorno prima.
L’occasione che non vuole perdere, senza rendersi conto che tanta bramosia prima la ubriacherà, poi la ucciderà.
Nell’oscurità dei toni gonfiati ribolle l’orrore ossessivo che la anima ed alla fine quella forzatura dei suoni, evidente, appare come la parte più intensa dell’interpretazione. Certamente una simile scelta mette a repentaglio la voce, ma è fantastico pensare che la Netrebko per ottenere l’effetto che vuole vocalmente si faccia Lady di se stessa mettendo in gioco il suo futuro di cantante.
Un momento di teatro nel teatro che lascia il segno.
D’acciaio devono essere gli acuti, lame taglienti che descrivono la volontà di costringere Macbeth ad accettare il suo piano , senza discussione o possibilità di marce indietro.
Con quelle note ella proclama il dogmatismo delle sue intenzioni, inizia la strada verso la follia.
Ricordo mitiche signore del palcoscenico che tramortivano il consorte con l’arroganza di acuti che erano veri tsunami. A tanta forza il fondamentalmente debole Macbeth non poteva che soccombere.
Quelle note quella sera alla Scala non c’erano: qui la Lady era autoritaria, più che autorevole ed invece che costringere il consorte, sembra che pianifichi con lui una strategia nefanda.
Alla fine di questa prima grande aria, pensi che la signora fosse tesa, che si sia trattenuta per paura dei tanti cecchini pronti a colpire al primo cedimento, che si debba scaldare.
Ma in realtà le cose non vanno meglio con il proseguire dello spettacolo.
Anche la applauditissima aria del sonnambulismo, sicuramente il migliore momento della serata, non riesce a turbarmi.
Il problema non è la nota finale che all’inizio sembra rompersi, anzi, grande merito saper gestire con tanta maniera una situazione incresciosa.
Non è un problema di presenza scenica, perché il soprano è veramente una meravigliosa attrice, capace di ballare fra i mimi, di oscillare su un cornicione, di correre in giro per il palcoscenico cantando.
Il fatto è che nonostante tutto questo non mi ha stregato. Né da sana di mente, né impazzita.
La sua voce non ha saputo portarmi altrove, ho ascoltato una brava cantante, con una voce che corre meno del previsto nello spazio del teatro, con un volume decisamente normale e con acuti non sempre solidi e quasi mai imponenti.
Una come tante.
Certamente non una grande Lady. A me sembra neanche una vera Lady.
Una consapevolezza nuova, che veramente mi lascia stupito, è che il suono della signora Netrebko è sicuramente straordinariamente telegenico.
Molto migliore registrato che in teatro.
Un caso decisamente raro.
Esattamente il contrario di quello che accadeva alla straordinaria Dimitrova, la cui voce oceanica risultava immeritatamente appiattita dalla registrazione, che riportava una interpretazione leggendaria dal vivo dentro i canoni della normalità in video.
Forse la chiave del successo mondiale di questa regina dell’opera, più che del palcoscenico è questo: uno straordinario appeal, la capacità di muoversi sul palcoscenico con una disponibilità ed una professionalità rare, uno strumento vocale perfetto per i nuovi strumenti di comunicazione.
Certamente non un mito, per quel che mi riguarda, del palcoscenico.
Forse, però, una regina di un nuovo mondo dell’opera, meno virtuoso e più virtuale.
di G. Macovez
ASCOLTI
‘Una macchia è qui tutt’ora’ dal Macbeth interpretata alla Royal Opera House
La signora Netrebko, nel 2014, all’Accademia di Santa Cecilia, interpreta in concerto l’aria ‘Or tutti sorgete’
Anna Netrebko ha sempre osato molto in scena. Eccola, nel 2005 a Salisburgo, intensa Violetta in un allestimento scarno e di grande intensità ,accanto a Rolando Villanzon
Dallo stesso allestimento in ‘Sempre libera’