Â
Â
Â
Â
Â
Â
Â
Â
Â
Â
Â
Â
Â
Â
Â
Il teatro Verdi di Trieste si accinge ad inaugurare la Stagione di Opera e Balletto con un titolo del grande repertorio, uno di quegli spettacoli che sicuramente rimangono nella memoria degli spettatori, nel bene e nel male: âOtelloâ .
Diciamo subito che le vicende del âMoro di Veneziaâ tennero banco nel Teatro Grande, allâinizio soprattutto nella versione rossiniana.
In particolare nel periodo in cui il Gran teatro La Fenice decise la chiusura in segno di protesta contro la dominazione austriaca, lavorarono a Trieste i Bertoja, scenografi principali del massimo teatro veneziano, autori di centinaia di spettacoli acclamatissimi e per lungo tempo collaboratori preziosi di Giuseppe Verdi e poi di Giacomo Puccini.
Essendo di fatto imprenditori teatrali, era loro abitudine acquistare dal teatro le scene dismesse dei loro spettacoli, per poterle utilizzare per spettacoli successivi o per allestirli in spazi secondari che non avevano laboratori propri. Questa attivitĂ gli permise di offrire a basso costo al palcoscenico triestino degli spettacoli sontuosi, ottenuti adattando le scene degli spettacoli veneziani piĂš popolari. Fra gli spettacoli di maggior successo proprio una edizione di âOtello, lâAfricano di Veneziaâ di Rossini, allestito nel 1864 e replicato a furor di popolo nella stagione successiva.
Quando nel 1887 andò in scena la prima assoluta della versione verdiana, Trieste era pronta a mostrare il suo entusiasmo per quel titolo, allestito già nel 1889 e ripreso nel 1890, nel 1891 e nel 1893, per un totale di quaranta repliche in quattro anni.
Ma non solo. Fra dicembre 1900 ed il gennaio dellâanno successivo, âOtelloâ andò in scena per venti volte.
Nella prima metĂ del Novecento il titolo continuò ad essere un titolo di grande richiamo: nel 1912; nel 1927; nel 1938 con Francesco Merli, che ritornerĂ a vestire il ruolo del protagonista nella stagione 1945-46 affiancato da Renata Tebaldi; nel 1941 con Aureliano Pertile, talmente apprezzato da essere titolare del ruolo anche nella ripresa del 1944; nel 1957; nel 1962; nel 1967, con lâaccoppiata sontuosa Pier Miranda Ferraro e Luisa Maragliano.
Sicuramente i melomani piĂš fedeli ricordano una edizione leggendaria di questo titolo: era lâinaugurazione della stagione 1975- 76 ed il teatro schierò il meglio che si poteva avere allâepoca.
Scene raffinate, essenziali, che rendevano ancora piĂš forte lâimpatto narrativo, con dei velari mossi dal vento che parevano descrivere la vita del Moro, in procinto di essere strappata dalla reiterate bugie di Cassio, firmate da un giovane Pierluigi Pizzi, autore anche di costumi di sontuosa eleganza.
La regia, attenta al gesto, ad ogni espressione, ma anche cesellata attorno alle grosse personalitĂ degli interpreti, era di Alberto Fassini.
Direzione sapiente di un grandissimo Nino Sanzogno, uno di quei direttori della grande scuola italiana, capace di cogliere ogni accenno della partitura, di entusiasmare senza cadere nella trappola degli effetti strabordanti, con il quale non correvi il rischio di ascoltare un âVerdi veristaâ o di venire tramortito da volumi orchestrali che coprissero le voci.
Con queste premesse, i tre protagonisti poterono dare il loro meglio: Carlo Cossutta, Piero Cappuccilli e Raina Kabaiwanska.
Cossutta è stato un tenore di rara bravura, che ha saputo indossare il ruolo di Otello in maniera ineccepibile, in un tempo in cui pareva che quel personaggio potesse essere pertinenza esclusiva di Mario Del Monaco.
Dotato di una voce di grande bellezza, di una estensione ampia e sicura, di acuti stentorei, sapeva trovare mezzevoci commoventi, colori struggenti e delicati, che cozzavano con le tinte forti ed i toni sprezzanti messi in campo, senza mai eccedere, nello scontro con Desdemona.
Vinceva di fatto il confronto con Del Monaco perchĂŠ ciascuno dei due portava in scena un aspetto differente del Condottiero veneziano ed ognuno di loro aveva ragione: alla fine lo spettatore non confrontava, ma usciva arricchito da una lettura parallela, credibile, che tratteggiava un uomo complesso, una vittima della rivalitĂ e delle invidie.
Naturalmente per il tenore triestino fu una autentica apoteosi, con un diluvio di applausi, che quasi sembravano intimidirlo.
Piero Cappuccilli era lâaltro idolo di casa.
Il suo Jago fu una lezione di teatro. Vocalmente potentissimo, ma soprattutto intenso per la tavolozza cromatica dispiegata, per gli accenti, le sfumature. Dal punto di vista dellâinterpretazione scenica, un delitto che la Rai allâepoca non abbia pensato ad una ripresa. Il baritono, uomo elegante e di bellâaspetto, fasciato da un abito nero da militare, che metteva in evidenza le forme asciutte ed aitanti, al momento dellâaria âCredo in un Dio Crudelâ si trasformava, sembrava diventare storto, gobbo, deforme. Pareva che nel tempo della confessione il âDio crudelâ lo possedesse, fosse entrato dentro di lui, per poi uscirne allâultima nota, in tempo per fornirgli quella maschera ipocrita che gli consentirĂ che raggiungere i risultati assassini cui puntava.
Anche in questo caso applausi, grida di approvazione. Alla recita cui assistetti, addirittura un vecchio appassionato che dal loggione dedicò dei versi ad Cappuccilli, ottenendo la sua dote di applausi.
Il rischio che Desdemona fosse schiacciata da tanta bravura non sfiorò quello spettacolo, perchĂŠ il Verdi affidò la parte ad un soprano amatissimo a Trieste, una di quelle artiste dalla personalitĂ fortissima, capace di ritagliare i propri spazi in qualunque occasione: Raina Kabaiwanska, che con intelligenza e lungimiranza raccontò una donna purissima, fedele, credibile, ma anche determinata, coraggiosa. AllâaggressivitĂ di Iago, allâopulenza di Otello, rispondeva con una figura metafisica, che sembrava determinata a seguire una via di purezza e limpiditĂ . Le leggendarie note filate del soprano bulgaro suonarono come struggenti richieste non di essere risparmiata, ma di essere creduta. Desdemona metafora delle vittime delle violenze domestiche, di quelle quotidiane, non tanto e non solo fisiche ma principalmente psicologiche.
Il pubblico si commosse realmente nel sentirla perdonare il suo carnefice e sancĂŹ definitivamente lâadozione morale per quella regina del palcoscenico che due anni dopo verrĂ definitivamente incoronata con una edizione indimenticabile di âAdriana Lecouvreurâ.
Lo spettacolo verrĂ ripreso a furor di popolo nel 1980.
Ancora grande successo, anche se della terna originale era rimasto solo Carlo Cossutta, che incurante del tempo propose un Otello ancora piĂš magnetico. Al suo fianco un valido Kari Nurmela, che ovviamente partiva con lâhandicap di un fresco confronto con una leggenda per Trieste e la raffinata Maria Francesca Cavazza.
La direzione passò ad una bacchetta di grande prestigio come Bruno Bartoletti ed al di là di fazioni e passioni, lo spettacolo mantenne tutto il suo fascino.
Dopo un simile allestimento , due allestimenti.
Un tentativo di realizzare un nuovo evento, nel 2001, schierando quello che si proponeva come lâOtello del nuovo millennio: Josè Cura, che da bravo divo cantò solo alcune delle repliche previste, complessivamente quattro, alternandosi con Vladimir Galouzine. Accanto a lui la popolare Cecilia Gasdia ed il bravo Juan Pons.
Vuoi la scelta di proporre lo spettacolo in agosto, vuoi le forti personalitĂ coinvolte, dirette da Gary Bertini, alla fine fu piĂš quello che si disse prima dello spettacolo che quello che rimase dopo.
Infine lâallestimento del 2009 2010.
Uno spettacolo registicamente riuscito, ma Giulio Ciabatti conosce bene sia il teatro in generale che il pubblico triestino in particolare e difficilmente avrebbe fallito le aspettative e bello dal punto di vista delle scene, firmate da Pier Paolo Bisleri, artista che non ha avuto, a mio parere, i riconoscimenti che il suo talento meritava.
Detto questo, che è molto dal punto di vista dellâidea dello spettacolo, ma molto poco per accontentare le aspettative di chi paga un biglietto, poco altro di positivo.
A Cominciare dalla direzione di Nello Santi. Un direttore di grandissima esperienza, che nonostante lâetĂ procedeva a memoria, ma che alla fine offriva una prova disomogenea, con una inspiegabile concitazione, dei volumi esagerati dellâorchestra, che copriva le voci ed una narrazione complessiva brutale, che non trovava riscontro nella raffinata partitura verdiana.
Alla prima Otello era Fraccaro, che scrissero che non centrò appieno il personaggio, mentre a me toccò un coraggioso Giuseppe Jung, che offrÏ sicuramente la peggiore versione del Moro che abbia mai sentito .
Sicuramente il tenore coreano, di cui poi ho perso senza rimpianti le tracce va comunque assolto. La grande domanda è cosa facessero i vari responsabili del teatro mentre si svolgevano le prove. Ma anche come Santi abbia potuto non protestarlo. Di fatto, poi, se ricordo bene fu un rincorrersi di sostituti, a confermare che Otello quelle sere non aveva superato la tempesta ed era affondato prima di arrivare in porto.
Jago vedeva alternarsi un grande Juan Pons a Paolo Rumetz, ma le buone capacitĂ dei due baritoni non bastarono a salvare la serata, anche perchĂŠ allâepoca vennero sollevate tante osservazioni perfino alla Desdemona di Adriana Marfisi, che si alternava a Mjriam Tola.
Evidente che il problema era la direzione, che era successo qualcosa che aveva rotto lâincantesimo necessario perchĂŠ nascano serate di magia, invece che di rumore.
Insisto perchĂŠ è inconcepibile che il Maestro Santi, che era noto per la capacitĂ di sostenere i cantanti, non abbia saputo sostenere il soprano titolare della parte, perchĂŠ non ci sono dubbi che di quellâartista, che peraltro avevo apprezzato in ruoli ben piĂš impegnativi, conosceva ogni sfumatura, essendo sua figlia.
Quindi questo è stato un âOtelloâ a suo modo indimenticabile, ma dal quale sentiamo tutti la voglia di affrancarci.
Il Verdi ha dimostrato un coraggio ammirevole ad inaugurare la stagione della ripartenza con un titolo cosĂŹ impegnativo.
Cosa potremmo aspettarci? Gli amanti della tradizione avranno di che gioire, perchĂŠ Ciabatti sicuramente confezionerĂ uno spettacolo elegante, senza forzature, mai banale e mai eccessivo.
Uno spettacolo da vedere e non da temere.
Il vero protagonista, non câè dubbio, sarĂ il direttore Daniel Oren. Come Otello ha superato piĂš dâuna tempesta ed il fatto che sia riapprodato in Piazza UnitĂ dâItalia, quello spazio architettonico di inaudita suggestione su cui si affaccia il Teatro Verdi e che regala a Trieste una delle piĂš belle piazze dâEuropa, è un regalo straordinario per pubblico triestino che ama incondizionatamente questo vulcanico artista, fin dai suoi esordi nel 1981 con âManon Lescautâ.
Poco importa che si alterni con Francesco Ivan Ciampa. Ha lavorato strenuamente con lâorchestra, ha spiegato cosa desidera e sicuramente ha trasmesso una visione che rimarrĂ anche nelle tre repliche in cui sarĂ sostituito.
Per il ruolo del protagonista si alternano Arsen Soghomonyan e Mikheil Sheshaberidze.
Se il secondo è giĂ noto ai triestini per aver cantato nel 2014 nella prima di âDas Liebesverbotâ di Wagner e come Mario Cavaradossi accanto alla Siri nella scorsa stagione, il primo è un esordio assoluto.
Le aspettative sono altissime, perchĂŠ questa è la quarta produzione di âOtelloâ che affronta questâanno, dopo Monaco di Baviera, Bologna e Jerevan ed è stato preannunciato come una delle voci tenorili piĂš interessanti della sua generazione.
Per il ruolo di Jago, a Trieste è stato chiamato il baritono del momento: Roman Burdenko, che questâanno è stato fra gli interpreti di âLa Dama di piccheâ alla Scala; ha trionfato nel Trittico a Salisburgo; ha cantato a Mosca ed a San Pietroburgo; è stato Scarpia allâOpera di Parigi; Germont in Oman; protagonista di una estate che lo ha visto trionfare in Arena, salvare la serata flop di Domingo; ha da poco concluso âNabuccoâ da protagonista a Palermo.
Si alterna con lui una interessante voce italiana emergente: Elia Fabbian, che sta scalando la via del successo piuttosto rapidamente.
Straniere anche le due Desdemona, entrambe nomi nuovi per Trieste: Liana Haroutounian e Salome Jicia, entrambe poco popolari, ma tutte due con una carriera ingemmata di critiche positive.
La Jicia ha da poco interpretato la versione rossiniana di Desdemona e fra pochi mesi affronterĂ il ruolo di Norma, confermandosi una esperta belcantista ed una artista attenta anche ad un repertorio meno popolare, con lavori sconosciuti di Donizetti, titoli di Spontini e molto rossini minore.
Liana Haroutounian è misteriosamente poco nota in Italia, ma è sicuramente uno dei soprani emergenti piĂš contesi dai grandi teatri internazionali. Solo nellâultimo anno può vantare la partecipazione a spettacoli importantissimi a Barcellona (La Dama di Picche); è stata âToscaâ a Malaga ed ad Atene; ha cantato âSuor Angelicaâ e âTabarroâ a Bruxelles; âMadama Butterflyâ alla Royal Opera House a Londra.
Trieste offra al suo pubblico una occasione preziosa per ascoltare una voce che promette di scrivere pagine di grande musica nei prossimi anni.
Â
A questo punto non ci sono dubbi che quando la direzione del Verdi ha puntato su âOtelloâ si rendeva perfettamente conto che una scelta del genere non era una sfida ma una promessa: di impegno, passione, determinazione a dare il meglio per recuperare un ruolo di guida del teatro italiano che negli anni gli era sfuggito di mano. Una proposta coraggiosa, per gridare che la cultura e la qualitĂ sono scelte che possono aiutare a superare i tempi nebbiosi che ci circondano.
Penso che una simile scelta sia coraggiosa e che valga la pena di raccoglierla, nella speranza di uscire ricchi di fiducia che la Notte non sia piĂš cosi densa.
Â
Galleria di protagonisti
nell'ordine: Carlo Cossutta (in copertina), Pier Miranda Ferrara, Piero Cappuccilli, Luisa Maragliano, il M° Daniel Oren



