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"L'opera contemporanea" - Napoli Milionaria di Nino Rota, parola ai protagonisti - Parte 2 - di Loredana Atzei

2022-05-03 01:59

Loredana Atzei

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"L'opera contemporanea" - Napoli Milionaria di Nino Rota, parola ai protagonisti - Parte 2 - di Loredana Atzei

In questo secondo articolo Loredana Atzei da voce agli altri personaggi che compongono il nutrito cast della splendida opera in 3 atti di Nino Rota

 

 

 

 

 

 

 

LTL Opera Studio, che coinvolge i tre teatri di tradizione Livorno Lucca e Pisa, riporta all’attenzione del pubblico un’opera contemporanea ingiustamente dimenticata: la “Napoli milionaria” di Edoardo De Filippo con musica di Nino Rota, e lo fa con l’allestimento del teatro del Giglio, sotto la Direzione del Maestro Jonathan Brandani e la regia di Fabio Sparvoli che riescono a dare all’ opera nuova linfa vitale con una messa in scena funzionale e una grande cura nello sviluppo dei personaggi, anche secondari, producendo così un grande lavoro corale pieno di realismo, tanto divertente quanto tragico.

Ed è proprio questo lavoro corale a costituire la cifra stilistica di questa produzione.

Proprio per capire quale è stato il grande lavoro fatto sui personaggi ho pensato di intervistare alcuni tra gli interpreti della Napoli milionaria andata in scena a Pisa lo scorso 20 Aprile.

Ringrazio dunque Alessandro Ceccarini, Alessandro Fantoni, Andrea Galli, Salvatore Grigoli e Mauro Secci che si sono prestati a questa intervista e che ci accompagneranno in questo viaggio alla scoperta di questa produzione.

 

Conosciamo meglio i personaggi cominciando dal protagonista maschile. Don Gennaro Iovine, marito di Amalia e padre di due figli, Amedeo e Maria Rosaria. Lo interpreta il baritono Salvatore Grigoli non nuovo al repertorio contemporaneo con all’attivo un’altra opera di Rota “La scuola guida”.

Come hai preparato e come hai vissuto il ruolo di Gennaro Iovine?

 

Gennaro per me è stato un personaggio toccante. Io ho dei ricordi dei nonni che hanno vissuto la guerra. Quindi molte cose che erano riportate all’interno del libretto mi ricordavano i racconti di nonna sulla guerra, su nonno che era stato deportato, tutto questo mi ha consentito di sentire veramente il personaggio.

Don Gennaro nel primo atto lascia che la famiglia sia gestita dalla moglie, lui fondamentalmente pensa solo ad avere il cibo in tavola disinteressandosi di come ciò avviene. E’ un uomo che non prende posizione, spaventato solo dall’essere scoperto e quindi di avere a che fare con la legge che ai tempi, con la Legge marziale in atto, era molto dura.

Nel terzo atto torna dalla guerra completamente devastato e rientra in una casa che lo ha dimenticato in tutto. Solo Maria Rosaria gli dimostra un po’ di affetto.

Lui è completamente traumatizzato. Ha dei continui flash in cui ritorna con il pensiero a ciò che ha passato e questo mi ha fatto pensare molto ai racconti dei miei nonni. Ad esempio Nonna mi diceva sempre che quando era sfollata abitava in una casa circondata da menta. A 84 anni ogni volta che sentiva l’odore di menta lei ritornava con la mente in quella casa, con i rumori delle bombe e la paura di essere colpita. E così anche per Gennaro ci sono della parole chiave, un odore o un rumore che innescano in lui il ricordo portandolo via dalla realtà per farlo ripiombare in quella fossa circondato da spari, dalle bombe e dai cadaveri.

 

Da un punto di vista vocale quanto è stato difficile preparare il personaggio?

 

Non è stato facile perché in alcuni punti De Filippo voleva un personaggio molto parlato e recitato. E’ stato difficile dare una lettura da cantante, con una messa vocale che potesse essere più vicina alla parte attoriale quasi parlata. Dovevo entrare ed uscire dalla parte parlata per entrare in quella cantata. L’opera, da un punto di vista musicale, è meravigliosa anche se molto difficile nel complesso. Ci sono molti cambi di tempo, c’è un’orchestra completa con le sezioni di fiati, ottoni, questo significa che a livello di emissione vocale tutti dobbiamo dare tanto. E’ un’opera molto forte che tiene impegnati sulla voce, sulla recitazione e sull’interazione con i colleghi. Bisogna sempre essere molto concentrati.

 

Passiamo ora al suo rivale, Don Errico Settebellizze interpretato dal tenore Alessandro Fantoni che non conosceva quest’ opera ma che si è buttato a capofitto nello studio fino ad esserne entusiasta. Come descriveresti Don Errico?

 

Don Errico è un ragazzo che, in un periodo storico molto difficile, riesce a procurarsi dei soldi in modo non del tutto onesto, e riesce a coinvolgere in questi traffici anche i suoi amici tra i quali Donna Amalia, la moglie di Don Gennaro, e persino il loro figlio, Amedeo.

Alla fine tra lui e Amalia si sviluppa una forte attrazione che con il tempo diventa una vera e propria storia d’amore, direi. Almeno, a me è piaciuto immaginarla in questo modo.

Lui, anche se è più giovane di Amalia, è comunque così elegante nel vestire e nei modi che riesce a conquistarla.

C’è un punto in cui secondo me lui ammette questo amore e addirittura chiede a lei di scappare e di andarsene via. E’ un momento molto romantico dove lui si rivela totalmente e fa capire che ha dei sogni per loro. Invece lei gli dice che il marito è tornato e che lei non lascerà mai la famiglia. In quel momento lui capisce che non c’è più nulla da fare. Amalia sarà per lui sempre un’ amante e una complice ma non le darà mai di più.

E’ sarà questa disillusione che, nel finale, lo farà agire con rabbia lanciando Amalia sopra il brigadiere per poi scappare.

In quel momento infatti è fragile. Ha capito che sarà sempre e solo l’amante della donna che ama, Don Gennaro è tornato, che altro può più sperare? L’unica cosa è tentare di sfuggire alla legge.

Dopo di che, nello scontro a fuoco, muore il figlio di Amalia, Amedeo.

E questo allontanerà definitivamente Amalia da lui e la farà riavvicinare a Gennaro.

Questo non lo sappiamo, perché nell’opera non si vede, ma possiamo immaginare che sia così.

Per me è stato interessante vedere il personaggio che comincia a cambiare.

Un uomo già elegante, distinto che riesce ad affermarsi in un periodo difficile e che, ottenuta la ricchezza, pensa di poter ottenere qualcosa di più a livello affettivo. Si innamora e desidera una famiglia. Purtroppo però nel finale crolla tutto e quel desiderio per lui rimane solo un bel sogno.

Ed è così che io l’ho affrontato. Come un giovane ragazzo ambizioso molto elegante e gentile, anche romantico, che proprio per queste caratteristiche riesce ad imporsi e anche a farsi ben volere. In fondo dai suoi traffici malavitosi ne traggono beneficio tutti quanti.

 

In effetti anche da un punto di vista musicale le arie di Don Errico sono quelle più liriche.

 

Si, esatto. Il personaggio per fortuna rimane molto lirico. Ha delle frasi molto eleganti fin dall’inizio. Fa subito la sviolinata ad Amalia dicendo che il suo caffè è il più buono del mondo, migliore persino rispetto al Brasile. E queste frasi sono proprio scritte in modo tale da rendere il personaggio molto sentimentale. Anche l’aria, ovviamente, dove lui mostra la sua fragilità. E lo fa sempre con questa musica secondo me molto romantiche.

 

Andiamo ora a conoscere meglio Amedeo, figlio di Donna Amalia e di Don Gennaro. Un giovane che prende la strada del crimine e al quale viene riservato un finale tragico. Lo interpreta il tenore Andrea Galli.

Cosa pensi del ruolo che hai dovuto sostenere?

 

Amedeo è un ragazzo di 17 anni che nasce nella Napoli di quegli anni, con la guerra, con una delinquenza incredibile, e con la fame. Si trova in una situazione molto difficile che lo porta a scegliere la strada del crimine. Con un padre disoccupato che gli mangia la cena lasciandolo senza pasto, e una madre impegnata nella borsa nera. Quando il padre va in guerra per lui viene a mancare un punto di riferimento. Anche se in fondo non è che lo avesse granché in considerazione. In fondo Amedeo era il cocco di mamma e ne ha seguito le orme aiutandola prima con il contrabbando e poi in associazione con Don Errico si è dato a reati maggiori come il furto, il commercio di auto rubate e chissà che altro. Quella era tutta gente armata che poteva anche uccidere, anche se nell’opera questo non si dice mai possiamo ugualmente immaginare come fosse strutturata quell’associazione criminale.

E’ un ragazzotto stupido, e anche giovane, certo. Potrei dire che io certe cose non le avrei mai fatte nemmeno da giovane, ma è anche vero che non posso giudicarlo non avendo vissuto la guerra e non avendo sofferto fame e privazioni

L’unico momento di umanità che traspare dal personaggio è quando Don Gennaro ritorna. Gli corre incontro e lo abbraccia. Subito dopo però ritorna già nei panni del ragazzotto stupido e privo di sensibilità.

Ciò che accade è terribile perché abbiamo un padre di famiglia che ritorna dalla guerra dopo due anni e nessuno lo considera, nessuno di noi vuole sapere cosa è successo. E’ straziante.

L’unico personaggio con una morale, con dei sani principi è lui, Don Gennaro.

Il resto è tutto allo sbando. Compresa Maria Rosaria che ha un rapporto difficile con la madre e che forse ha sentito ancora di più la mancanza di un padre.

Alla fine Amedeo raccoglie ciò che ha seminato. Cioè nulla. Lo ammazzano.

Purtroppo lui è cresciuto in un contesto non aveva altra possibilità se non quella di delinquere. Come spesso succede quando non vieni educato, quando vieni cresciuto in un contesto, in un momento storico dove non hai la possibilità di emergere, di far vedere quello che sei, e di vivere in una condizione agiata la tua adolescenza, la via più facile è quella della malavita.

 

Napoli milionaria nasce come un’Opera che denuncia la fine della speranza. Quella stessa speranza che De Filippo aveva perso nel corso degli anni.

Come hai vissuto il finale con la morte di Amedeo?

 

In questo finale vedo una madre che per un secondo capisce tutte le fesserie fatte e pur avendo davanti il figlio morto non lo guarda nemmeno.

Amalia fissa il vuoto, tocca il figlio morto, lo culla e chiede “Che è successo?” quasi rifiutando l’accaduto. Lei vuole dormire, pensare che ciò che vive è un sogno, che quello che ha di fronte steso a terra non è suo figlio…Invece è lui. Non capisce, non connette, è persa nei suoi pensieri.

Non è in questo mondo. E’ in un’altra sfera.

 

A livello vocale com’è stato interpretare Amedeo?

 

A dire la verità il mio ruolo non mi dà l’opportunità di mettere in mostra le mie doti di cantante. Ad esempio nella mia parte non avevo nessun acuto da sfoggiare, oppure una frase legata, diciamo che quindi ho puntato tutto sulla recitazione.

 

Passiamo ora ai personaggi di contorno cominciando dal tenore Mauro Secci, anche lui non nuovo alle opere di Rota avendo interpretato da protagonista “Il cappello di paglia di Firenze” a Sassari. Ci parla del suo ruolo spiegandoci chi è Pascalino?

 

Pasqualino ‘O pittore è un personaggio di fianco rispetto a quelli principali all’interno dell’opera e si inserisce in quel mondo comunitario della Napoli fascista e del dopoguerra. Collabora con altri personaggi in attività non propriamente lecite ma anche per porre in essere delle simpatiche truffe come, per esempio, la celeberrima scena del finto morto che serve a celare quella che era l’attività di contrabbando perpetuata dalla famiglia Iovine. Il momento clou, per lui, è quello in cui viene chiamato a cantare alla festa così come potremmo chiamare oggi un cantante neomelodico ad un matrimonio napoletano. Insomma, è un tipo piuttosto semplice ma questo non significa che sia bidimensionale. Abbiamo lavorato molto con il Regista e con il Direttore attraverso una collaborazione stretta fra tutti affinché si ottenesse come risultato una messa in scena il più possibile realista. E quindi non eravamo più dei personaggi che venivano sparati in scena così d’ emblée e che non avevano nessun tipo di profondità, ma siamo riusciti ad ottenere dei ruoli precisi all’interno degli accadimenti. Ad esempio, inizialmente la scena del finto morto è molto divertente ma allo stesso tempo drammatica perché il Brigadiere potrebbe scoprirli e metterli in galera. O peggio. Non dimentichiamo che c’era la legge marziale. Ebbene, anche all’interno di quella scena si evince comunque la psicologia di Pascalino che prova effettivamente paura nel momento in cui si sentono i bombardamenti, ma allo stesso tempo rassicura il mezzo prevete che è altrettanto spaventato al suo fianco. Lo fa perché non possono fuggire. Se scappano fanno saltare la messa in scena. Poi alla fine arriva la disperazione, quando cessa il bombardamento, e c’è anche il dispiacere legato alle persone che potrebbero essere morte in quel momento. Non sono personaggi stereotipati, ecco quello che voglio dire. Sono personaggi vivi, un po’ mascalzoni all’inizio, che poi nel finale si rivelano cafoni, insensibili e preoccupati solo di sfoggiare la loro ricchezza ottenuta in modo criminale. Nel finale infatti il banchetto è sontuoso. E’ tutta gente che ha provato la vera fame quindi la dimostrazione della ricchezza è data dal cibo portato in tavola, ecco perché c’è tutto l’elenco delle pietanze e del vino.

Interpretare Pascalino è stato divertente anche perché, nel momento in cui canto l’aria Villanova, l’ho interpretata in modo autoironico, con quel narcisismo e quella voglia di apparire tipica dei cantanti.

E’ così preso da se stesso e dalla festa da non curarsi nemmeno di Gennaro che torna dalla guerra e che rappresenta tutto quello che loro vogliono dimenticare. Un uomo ferito nell’animo, un uomo sporco che puzza. Ecco cosa pensavo quando interpretavo Pascalino. Che di fronte ad un uomo che puzza, se non sei veramente legato affettivamente, la prima reazione è quella di avere ribrezzo. E’ un po’ cinico, però teniamo presente che, secondo me, la guerra, tutte le traversie che uno affronta in quei periodi rendono le persone più brutte. E’ normale perché le persone che hanno passato la seconda guerra mondiale, penso ai nostri nonni soprattutto, spesso erano più disilluse che forti.

Non giudico Pascalino perché il mio compito è capirlo e interpretarlo non giudicarlo. Quello che bisogna fare è cercare le motivazioni per comprendere il personaggio e interpretarlo in modo più vero. Alla fine questa non è altro che la storia di come l’uomo si adegua all’ambiente e Pascalino è uno di quei personaggi minori che ha però una psicologia che muta durante tutta l’opera.

Napoli milionaria sarebbe interessante, per esempio, ambientarla negli anni ’70 in Vietnam, per dire, o in Irak negli anni 2000, in Afghanistan negli anni ’80, in qualsiasi posto in situazione di conflitto perché la storia che noi abbiamo portato in scena non è solo Napoli, è una storia molto complessa, molto bella, e universale, e secondo me dovrebbe diventare un’opera di repertorio.

 

A livello vocale quanto è stato difficile?

 

La parte in se stessa non mi ha presentato difficoltà. Nell’aria ho fatto anche la puntatura al Si naturale che non era scritta, naturalmente in accordo con il Maestro Brandani. Diciamo che diverso è stato il discorso dei cori , li ci sono maggiori difficoltà, soprattutto nel finale con il coro della mamma che piange il figlio morto, in una scena che a me ricorda molto la madre dell’ucciso di Francesco Ciusa. Per esempio qui i cori hanno presentano delle difficoltà maggiori, soprattutto per noi tenori.

Io avevo l’aria nell’ultimo atto e poi nella parte iniziale avevo delle parti quasi recitate con dei falsetti, perché sostanzialmente interpretavamo, io e il mezzo prevete, due finte suore al capezzale del finto morto. Il Maestro Sparvoli ha chiesto che lasciassimo le barbe proprio per rendere ancora più comica la scena, un vecchio trucco da Commedia dell’arte, per suscitare la risata nel pubblico. Più difficile invece è stata la scena del Boogie Woogie dove interpretavo un aviere e dove io mi sono divertito tantissimo. C’è da cantare e da ballare. Infatti mi ricordo che avevamo tutti il fiatone però alla fine il risultato era molto buono. Faticoso ma buono. Un vero momento di festa perché divertendoci noi riusciamo a trasferire il divertimento al personaggio e quindi al pubblico.

 

Ed eccolo dunque il compagno di mascalzonate di Pascalino interpretato dal basso Alessandro Ceccarini che nell’opera è ‘O mezzo prevete. Com’è stato costruire questo ruolo in un’opera così complessa?

 

Sono entrato a far parte del gruppo dei ragazzi dell'Operastudio di Napoli Milionaria al terzo stage, chiamato dai tre direttori artistici a ricoprire questo ruolo molto particolare.

Ricordo ancora come feci capolino piano piano nel mondo di De Filippo e Rota, in punta di piedi, scoprendo sullo spartito, e grazie al lavoro di tutti con il regista Fabio Sparvoli e il direttore d'orchestra M° Jonathan Brandani, bellissime e suggestive emozioni, che obbligavano tutti a un impegno superiore al consueto. Infatti la difficoltà maggiore di questa opera è che non la si può affrontare solo dal punto di vista canoro, ma anzi è dal lavoro sul personaggio in senso attoriale che si può raggiungere una credibilità e un "peso" artistico necessario nel momento in cui il nostro personaggio si muove, agisce sul palcoscenico. 

Qualcuno potrebbe obiettare che ciò dovrebbe succedere sempre, ma in questo caso la differenza sta nella manovrabilità individuale che non esiste al di fuori del proprio raggio di azione che è sempre limitatissimo. È dentro che va sviluppato, e così brilla di luce propria e sostiene anche gli altri. Ci si connette con una realtà eccezionale, a tratti cruda, i vari cambi di umore poi a cui si è sottoposti sono pazzeschi, nessuna altra opera registra tutte queste sfaccettature, una genialità, un fiume in piena continuo di idee sia musicali che interpretative. 

Il mio personaggio entra vestito da piccolo borghese, con giacca e pantaloni neri, il basco nero in capo che sarà il suo "marchio di fabbrica" e un atteggiamento compiacente. In pochi secondi la trasformazione da falsa monaca (non nasconde infatti più di tanto le sue fattezze maschili, come del resto fa Pascalino 'O Pittore, suo collega di truffa) per simulare la veglia funebre di Gennaro agli occhi del Brigadiere Ciappa in cerca di truffatori nei bassi napoletani, mentre infuriano i bombardamenti. Ed è proprio questo ulteriore passaggio, molto suggestivo, dalla farsa alla tragedia che è molto emozionante. Dall'uso del falsetto per dire la giaculatoria funebre, il Mezzo prevete deve passare alla tragedia vera, all'urlo crescente in risposta alla tragica morte della moglie sotto le macerie dovute ai bombardamenti. Quell'urlo "Carmè!!" che chiude il primo atto è veramente lacerante, e gridarlo adesso, in questo momento storico, quando vere bombe vicino a noi provocano morte e dolore è stato emozionalmente indescrivibile, mi è sembrato come di urlarlo al mondo intero. 

Ritroviamo 'O mezzo prevete all'inizio del secondo atto, vestito di chiaro, ripulito ma con il lutto al braccio, esaltato dalla nuova realtà di benessere, foraggiata essenzialmente dalle imprese delinquenziali di Enrico Settebellezze che a pioggia alimentano tutte le vite degli amici di famiglia di donna Amalia. Porta in una sporta vino rosso di Gragnano, "pane bianco", "farina alleata" e le sigarette, urlando in casa come se avesse con sé un tesoro (in effetti erano beni che durante la guerra scarseggiavano moltissimo, si potevano acquistare solo razionati con la tessera annonaria, quando, raramente, erano disponibili). Alla fine dell'atto rieccolo comparire, con un gruppo di ragazze e soldati americani festanti nel vicolo, e improvvisa con gli altri un boogie in casa di Amalia. Qui davvero mi sono divertito tantissimo, dopo tentativi un po goffi mi sono lasciato andare e ho interagito agevolmente con le mie splendide partner di ballo. Una crescita anche in questo, necessaria, non immediata, ma che ha dato i suoi frutti. 

Nell'ultimo atto vediamo che il benessere da un pochino alla testa al nostro Mezzo prevete, il suo servilismo per donna Amalia lo fa apparire un po meschino quando ritorna Don Gennaro, a causa del fatto che osteggia con i modi e con l'indifferenza, questo al pari degli altri, la presenza del vero padrone di casa. Durante la festa di compleanno di Settebellizze porta vino e cibarie a profusione, compresi i mitici "peperoni imbottiti", che sono diventati un vero e proprio tormentone durante la produzione. 

L'opera si conclude con l'uccisione di Amedeo durante una sparatoria, e quindi con la morte, il dramma, la guerra che non finisce... e che continua a mietere vittime in modo sommario, quasi casuale, come avviene per la moglie di 'O mezzo prevete, così avviene per Amedeo, ucciso "per caso" ma "di fatto" da una guerra tra le persone, che distrugge il presente e il futuro di tanti. 

Una morale che purtroppo, a quanto pare, è drammaticamente attuale.

 

Purtroppo negli ultimi anni abbiamo imparato a convivere con un senso di incertezza totale. In continua e perenne emergenza. Prima la pandemia ora la guerra, eventi che incidono sulla vita di ognuno di noi ma si va avanti con lo studio e con gli impegni di lavoro.

 

Andrea Galli ci rivela un po’ di se. Come è stato quest’ultimo periodo?

C’è stato il covid di mezzo, una cosa allucinante, una valanga di contratti saltati, ma conto di recuperare. Ho fatto da poco i 25 anni. Ho vinto dei premi, ho avuto delle belle soddisfazioni, Ho appena fatto anche la Favorita che è andata molto bene, ho ricevuto delle bellissime recensioni, e adesso ho un progetto molto bello ma ne parlerò a tempo debito.

 

 

Mauro Secci sarà impegnato ad Ottobre nella Manon Lescaut a Cagliari e sta lavorando ad un progetto di cui per ora non parla per scaramanzia. L’ultima cosa che ha cantato è stato lo Stabat Mater di Pergolesi versione Paisiello.

Avevi anche in programma il Don Pasquale se non sbaglio?

 

E’ vero. Ho dovuto rinunciare causa di una laringite. In effetti io ho la voce un po’ più lirica rispetto al ruolo di Ernesto. Non è un ruolo che cantano tutti perchè presenta delle difficoltà che spesso e volentieri anche i tenori molto leggeri non riescono a risolvere. E’ come se in certe parti fosse una scrittura verdiana. Io me la stavo cavando egregiamente ed ero anche piacevolmente contento purtroppo poi non l’ho potuta fare.

 

Salvatore Grigoli ha appena finito la produzione di Nicola Sani a Bolzano alla fondazione Haydn con l’opera da camera Falcone ( il tempo sospeso del volo), nel frattempo sta preparando un lavoro per il luglio musicale Trapanese “I Kattivissimi” e infine interpreterà Belcore nell’Elisir ad Agosto sempre per il luglio musicale trapanese.

Che tipo di repertorio prediligi?

 

Diciamo che mi piace molto il ‘900 quindi contemporaneo, sia attuale che estremo, diciamo così. Opere come quelle di Rota, Britten, ma anche il periodo di Leoncavallo con “Pagliacci”, insomma, quel periodo là. Sono stato felicissimo di prendere parte a Napoli milionaria proprio perché adoro Rota e le opere contemporanee.

 

Alessandro Ceccarini si occupa di arte a 360 gradi. Il suo impegno anche sui social è incessante e coinvolgente. Ha appena concluso la recita di un Barbiere di Siviglia in chiave moderna dove ha interpretato il suo 75° Don Basilio. Cosa hai in serbo per il futuro?

 

Come mio stile, chi mi conosce lo sa, non mi fermo mai eheheh. Mi sto dedicando molto allo studio in vista di importanti appuntamenti che mi attendono. Ho già alcune date di spettacoli a cui dovrò prendere parte, ma in particolare un progetto che mi vedeva protagonista in sudamerica ma che a causa della guerra in Ukraina è stato slittato a ottobre. Poi avrò ad inizio anno prossimo ancora Manon Lescaut a Ferrara e Pisa. Sicuramente anche quest'anno darò vita insieme a mio padre e ai miei collaboratori al Chianni Opera Festival, nonché ricoprirò le mie impegnate attività di segretario del Premio Nazionale Letterario Pisa, giunto quest'anno alla 66.ma edizione.

 

Diamo infine la parola ad Alessandro Fantoni che sta facendo ora un Rigoletto con un’orchestra giovane che si chiama “senza spine” in cui è coinvolta la fondazione Pavarotti. Nel futuro ha la “Traviata”, l’ “Elisir d’amore” ma anche la “Carmen”.

In quale direzione stai andando?

 

Ultimamente sto affrontando un repertorio un po’ più lirico in opere come ad esempio Butterfly, Tosca, Cavalleria dove effettivamente mi sento più a mio agio perché sento che è un repertorio che per me è facile e quindi probabilmente andrò in quella direzione. Però proprio per mantenere una tecnica e cercare di non strafare e di non andare troppo oltre mi tengo anche i miei rigoletti, gli elisir le traviate insomma, questi ruoli che so che fanno sempre bene alla voce.

 

Ecco quindi che anche in un periodo così difficile, tra emergenza pandemica conflitti alle porte dell’Europa, questi giovani con il loro canto e la loro passione ci mostrano come sia possibile combattere con le armi pacifiche dell’arte affinché il “bello” possa trionfare sulla scena così come nella realtà.

di Loredana Atzei

 

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Da sinistra: Mauro Secci, Lucia Conte, Elena Memoli, Alessandro Fantoni, Alessandro Ceccarini

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Musicologia generale, Curiosità, Recensioni, opera, lirica, recensione,

Viva Verdi! Un Requiem dalla bellezza eterna - di Antonio R. Indaco

Antonio Indaco

2024-05-11 01:05

Grande serata Ginevra con il Requiem verdiano. Recensione di Antonio Indaco

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"Le Interviste del Loggione" 2024 - Serie Pucciniana - Intervista a Vivien Hewitt, regista

Admin

2024-04-26 23:13

Le interviste del Loggione 2024 - Intervista al Vivien Hewitt, regista

News, Musicologia generale, Storia della Lirica, Interviste, Interviste artisti, opera, intervista, puccini,

"Le Interviste del Loggione" 2024 - Serie Pucciniana - Intervista ad Emiliano Sarti, musicologo

Admin

2024-04-19 23:34

Intervista al musicologo Emiliano Sarti per la nuova serie detta "Pucciniana" delle Interviste del Loggione

Don Giovanni - spettacolo in prosa irriverente in scena allo spazio Balabìott di Pisa
News, Curiosità, Teatro, news, teatro, prosa,

Don Giovanni - spettacolo in prosa irriverente in scena allo spazio Balabìott di Pisa

Admin

2024-04-12 03:41

Sabato 13 e domenica 14 in scena allo spazio Balabìott di Pisa la rilettura in prosa di Don Giovanni di Annalisa Pardi

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