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Alessandro Moccia è un giovane tenore di 35 anni dalla voce importante, ampia e con un bello squillo.
Da giovane fa il liceo artistico. A 17 anni, affascinato dal violino, si iscrive allâAccademia Musicale Riminese e per dieci mesi si dedica totalmente a questo strumento. Ma, quando scopre che esiste anche una scuola di canto, prende il coraggio a due mani e chiede di essere ascoltato. Giusto?
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Esatto. Non è stato facile per me perchĂŠ ho sempre avuto sin da bambino una forma di riservatezza, quasi di timidezza. Anche quando sperimentavo, dai 12 ai 15 anni, lo facevo serrando tutte le porte e le finestre perchĂŠ non volevo che mi sentissero. Era un qualcosa di mio che non volevo condividere. Poi crescendo ho cominciato a cantare per gli amici. Diciamo che ero consapevole di avere questa dote naturale ma non pensavo di usarla. Fino a quando, mentre studiavo musica nellâaula di violino, ho sentito che arrivavano dei vocalizzi e ho capito che li câera qualcuno che insegnava canto. Il giorno dopo, senza dire niente a nessuno, sono andato e ho chiesto di farmi sentire dal Maestro di canto per capire che voce avevo.
Eâ stato cosĂŹ che ho conosciuto la mia insegnante, il soprano Angelica Battaglia e benedico ogni giorno per quello che mi ha dato. Eâ un insegnante molto attenta che mi ha dato delle basi tecniche molto ferree. Quel giorno mi ha ascoltato, mi ha fatto fare dei vocalizzi e mi ha detto che avevo delle potenzialitĂ ma che avrei dovuto studiare. Eâ stato cosĂŹ che tutto è cominciato.
Ho iniziato a studiare con lei e poi, quando ha cambiato residenza, ho avuto altri Maestri che però non sono riusciti a darmi ciò che mi serviva. Quindi da solo ho perseverato negli studi. Ho poi trovato il mio maestro attuale, il tenore Paolo Barbacini con il quale ho intrapreso una ginnastica e delle sane lezioni volte ad affinare lo strumento vocale. Lo stimo tantissimo come uomo come artista e come didatta e lo ringrazio per ciò che mi sta dando.
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Come è arrivato il mondo della lirica nella tua vita?
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Devo ringraziare i miei genitori per questo. Mia madre era una casalinga ma anche una bravissima sarta. Suo padre, Alfredo, era un cantante melodico, alla Sergio Bruni per intenderci, ed era anche lâuomo di fiducia del Cinema Cicolella e del Teatro Giordano di Foggia, quindi ha conosciuto i piĂš grandi artisti che sono passati per la Puglia in tournee. Mia madre andava a cucire gli abiti degli attori dellâepoca. Era un lavoro artigianale. E poi câera mio padre, operaio ma anche grande appassionato di lirica, e mio nonno Raffaele che aveva una bella voce da tenore. Cantava le romanze della Tosca mentre lavorava come imbianchino-decoratore. Per me erano due titani. Evidentemente la lirica è nel DNA della mia famiglia.
Quindi io ho sempre respirato in casa questâaria di teatro e musica. Ci sono racconti di mia madre che dice che sin da piccolo ero un bambino molto timido ma avevo anche un lato estroverso e creativo molto forte. Ad esempio racconta che un giorno le ho chiesto un pezzo di stoffa e ho finto che fosse un mantello e di fronte ad uno specchio mi sono esibito cantando delle romanze. Avrò avuto 5 o 6 anni.
Poi nel crescere ho maturato la mia coscienza musicale ascoltando tanti artisti.
Ho frequentato lâistituto dâarte quindi il lato artistico e teatrale è sempre stato in me una costante. Un faro che mi ha sempre abbagliato in senso buono. Poi ho cominciato a studiare canto.
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Eâ stato subito chiaro che la tua vocalitĂ era tenorile?
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Si, su questo non ci sono mai stati dubbi. Lâho manifestato sin dal principio. Inoltre la mia insegnante ci vide molto bene sul mio futuro, facendomi dei piccoli pronostici, su quello che poteva essere un percorso mio vocale anche se, a 17 anni, non potevo certo avere la voce che ho adesso.
Molti sentono che la mia vocalità è importante e pensano che io abbia iniziato con lââOtelloâ o con âPagliacciâ. Ma ovviamente non è cosĂŹ. Tuttora io con parsimonia e con molto rispetto mi avvicino a romanze o ruoli di questo genere.
Invece, con sorpresa di tanti, ho iniziato studiando Rossini, Bellini, Donizetti, addirittura Mozart. Quindi fondamentalmente vengo da uno studio belcantistico. Ho studiato tutto il metodo Vaccaj, ma soprattutto devo dire che quello che piÚ mi è servito è stata sicuramente la grande scuola del fiato.
E in questo senso il belcanto aiuta, non solo come repertorio ma proprio per avere le basi che consentono di usare bene la voce nel tempo, quando questa subisce dei cambiamenti.
PerchÊ la voce è uno strumento in continua evoluzione. Un cambiamento che è sia fisico che psicologico. PerchÊ cambia il nostro corpo ma si cambia anche interiormente. Ci si accresce culturalmente, artisticamente ed umanamente
Quindi il canto è una disciplina che richiede di essere esercitata ogni giorno con lo studio costante.
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Cosa significa per te fare arte nellâOpera?
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Io ho fatto anche teatro di prosa. Amo molto Pirandello, Edoardo de Filippo, Carmelo Bene. E, come dice proprio questâultimo, non basta fare arte, bisogna andare aldilĂ dellâarte. PerchĂŠ se ci fermiamo al discorso di rappresentazione perdiamo la magia. E anche nella lirica bisogna andare oltre la semplice esecuzione di un brano. Dare un qualcosa di piĂš in modo spontaneo.
Non deve essere un esecuzione ordinaria, ma bisogna andare oltre questo, altrimenti non è arte
Ecco perchÊ molti cantanti del passato dicevano: Attenzione a cantare in maniera ripetitiva e continua, senza fermarsi, perchÊ ci vuole il riposo. Ma un riposo che sia non solo fisico ma anche psicologico, perchÊ la mente si deve ricaricare di tutto quello che si esprime, in senso buono, nelle recite precedenti. Almeno questo è il mio metodo. Mi fermo per elaborare e sedimentare il personaggio in modo da farlo mio.
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Hai parlato di cantanti del passato. Quali sono i tuoi riferimenti?
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Non ho mai negato e mai negherò di avere come riferimento Mario Del Monaco, ma non è il mio unico riferimento.
Sin da bambino le voci che ho ascoltato sono state le voci di Gigli, di Lauri Volpi, di Schipa e poi quelle di Masini e di Merli. Mio padre aveva i dischi di questi tenori e non è che li lasciava a prendere la polvere, lui li metteva su tutte le Domeniche.
E quindi io ascoltavo queste voci e cantavo. Ad esempio andando dietro la voce di Gigli facevo il falsettone, e avevo 12 anni.
Queste sono le voci che ascoltavo inizialmente poi dopo, verso i 15 anni, ho scoperto le voci di Del Monaco, Corelli e Di Stefano. E ovviamente sono rimasto affascinato da questi tre monumentali, e modernissimi, artisti dalle voci elettrizzanti.
Questo ovviamente non significa che io abbia studiato sui dischi. Quello è stato solo il modo in cui ho scoperto lâopera.
Io ho costruito la mia tecnica in 5 anni allâAccademia, con unâinsegnante di canto diplomata in conservatorio che a sua volta ha studiato con Bergonzi. Ho un diploma di solfeggio, conosco la musica e ho davvero studiato tanto.
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Cosa rappresenta per te Mario Del Monaco?
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Del Monaco ha da subito esercitato su di me un fascino particolare. Ma questo non significa che non apprezzi o non ascolti tutti gli altri. A me piacciono tutti i cantanti del passato ma quel colore mi ha portato totalmente in un altro mondo.
Del Monaco lo ascoltavo e cercavo di imitare lâemissione.
Imitare lâemissione di un cantante è un qualcosa che secondo me hanno fatto tutti perchĂŠ è naturale. Tutti i grandi hanno avuto un faro, un riferimento.
Noi dobbiamo tutto a questi grandi perchĂŠ se non ci fossero state questi riferimenti non avremmo avuto storia. Ci hanno tramandato molto e noi ne dobbiamo fare tesoro e portare avanti il loro discorso.
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Tua moglie è il mezzosoprano Francesca Sassu. Come vi siete conosciuti?
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Grazie alla musica quando è venuta ad insegnare allâaccademia dove io studiavo. Avevo portato dei brani di repertorio belcantista. Ma lei, pur dicendo che erano stati eseguiti bene, mi aveva fatto notare che la voce era maturata e che si stava spostando verso un repertorio piĂš lirico. Ed è stato quindi grazie a lei che ho cominciato a studiare la âLuisa Millerâ, ad esempio.
Ho cominciato a scoprire cosâera cantare Verdi, cosâera cantare PucciniâŚaddirittura io al verismo neanche ci pensavo. Anche ora, per quanto io abbia una predilezione per questo repertorio, perchĂŠ lo adoro e lo sento congeniale alla mia voce, mi ci avvicino con molta cautela.
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Francesca Sassu è la figlia del grande baritono sardo Salvatore Sassu. Hai avuto modo di conoscerlo?
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Si ed èâ meraviglioso aver avuto questa opportunitĂ anche se lâho conosciuto purtroppo giĂ minato dalla malattia. Mi ha dato sicuramente dei consigli preziosissimi che conservo. Non ho avuto modo di conoscerlo quando lui era in forze e me ne dispiace perchĂŠ era una persona eccezionale. Buona, sincera, generosa. Sottolineo sincera perchĂŠ bisogna essere sinceri nella vita e anche in questo ambiente. Si sente dalla sua voce. Le sue interpretazioni sono lezioni di canto.
Non sono solo io a dirlo, mi faccio portavoce degli allievi, è stato un grande maestro di canto e anche di vita.
Sto curando personalmente il suo archivio e attraverso le registrazioni, ma anche dei documenti che riguardano anche altri grandi colleghi come Giacomini, capisco ancora di piĂš che persona e che artista fosse. Godeva della stima, dellâammirazione e dellâaffetto di tutti.
Prima mi hai chiesto che cosâè fare arte nellâopera e io questa cosa la vedo molto nel canto di mio suocero. Io adoro la timbrica del baritono che forse è quella piĂš bella. Eâ una voce calda. Ecco, io sento in Salvatore Sassu lâabbandono. E secondo me è la forma piĂš alta di un artista. Lâarte viene trasmessa nel momento in cui lâartista si lascia andare e si proietta in unâaltra dimensione dove non è piĂš lui. Il fatto che ci siano degli spartiti da seguire non significa che uno debba cantare in modo sterile.
Eâ stato lui che mi ha detto che Verdi fa bene alla voce, voleva che debuttassi in Tovatore e Aida. Mi diceva: âQuelli sono i ruoli per te.â
Purtroppo non ha potuto assistere al mio debutto con lâErnani.
Eâ stato sempre lui ad accorgersi che praticavo la tecnica Melocchi. Quando mi ha sentito mi ha chiesto: âChi te lâha insegnata?â In realtĂ non me lâaveva insegnata nessuno perchĂŠ mi ci ero avvicinato per conto mio. E mio suocero da quel grande Maestro che è stato mi disse :
âBravo, però attenzione che ti è andata bene perchĂŠ se non la capisci bene può essere unâarma a doppio taglio.â
E ha ragione perchÊ ci si può fare male.
Comunque io questa tecnica non lâho perseverata, Ho fatto dei vocalizzi perchĂŠ sentivo la necessitĂ di aprire un poâ di piĂš la gola, o meglio, di liberarla un poâ di piĂš. Ma il Melocchi profondo non lâho mai praticato. La mia voce non ne aveva bisogno.
Adesso io sono alla ricerca spasmodica della perfezione del suono. Io cerco sempre di curare nella mia voce tutti i suoni in modo da avere la stessa omogeneitĂ . Come diceva mio suocero ai suoi allievi: âle note hanno tutte la stessa dignitĂ â. Non câè una nota meno importante di un'altra. E questo la dice lunga sulla preparazione di questâartista che non era uno âspara-noteâ.
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Parlami del tuo percorso artistico.
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Ho fatto concerti e selezioni, poi il mio debutto è stato con âIl Tabarroâ di Puccini, con 3 recite: due al Teatro Regina di Cattolica, e una al Teatro Zandonai di Rovereto che allâepoca era chiuso per restauro e noi andammo in una dislocazione che era un teatro moderno. Ho fatto selezioni per lââAndrea ChĂŠnierâ, âLa Wallyâ. Unâ altra opera che ho cantato è âCavalleria rusticanaâ poi nel 2019 ho debuttato in âErnaniââŚe come vedi sono tutti debutti non facili.
Cantare lââErnaniâ è stata unâesperienza che mi ha arricchito tantissimo. Lâho debuttato nel Teatro Verdi Buscoldo di Curtatone.
Ho cantato in tantissimi teatri di prestigio italiani, ho fatto diversi concorsi e audizioni e sono risultato tra i finalisti del Concorso Giorgio Merighi che si è tenuto a Kiev e dove avrei dovuto debuttare in tre ruoli questâanno, ma sappiamo tutti cosa ha colpito quella terra... purtroppo... e mi spiace tantissimo perchĂŠ ho trovato persone che mi hanno amato e stimato, e la stima è reciproca.
Sono davvero dispiaciuto perchĂŠ stanno vivendo una situazione terribile.
La guerra è brutta per tutti. Eâ un vestito che non sta bene a nessuno. Non importano le fazioni in ballo. Io ho solo in mente il viso dei bambini e delle persone che non câentrano nulla. Mi spiace per loro. Gente semplice, comune come me, che vorrebbero solo condurre la propria vita in pace.
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Quali sono i tuoi progetti?
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Per ora mi sto muovendo con delle audizioni, non dico nulla per scaramanzia.
Per il resto ho due impegni imminenti, si tratta di due concerti.
Il primo sarĂ il 27 Maggio e sarĂ un concerto sacro che si terrĂ nella Chiesa di Santâ Orsola in Mantova, una Chiesa antichissima con un organo bellissimo suonato dal grande Maestro e didatta del conservatorio di Verona Carlo Benatti pianista e organista.
La serata prevede brani che vanno dallââIngemiscoâ di Verdi al brano âCrucifixusâ tratto da âLa petite Messe solennelleâ di Rossini. Canterò poi anche âPietĂ Signoreâ di Stradella e lâAve Maria di Gounod.
Alle mie romanze si alternerĂ il Maestro Benatti allâorgano con musiche sacre.
Il 29 avrò invece un recital operistico sempre con il Maestro Benatti alla Rocca Palatina di Postumia.
Qui mi produrrò con le arie tratte dallâ âAndrea ChĂŠnierâ e dallâ âAdriana Lecouvreurâ, due opere che adoro. Farò poi âVesti la giubbaâ e chiuderò con âLucevan le stelleâ.
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Câè qualcosa di cui vai particolarmente fiero tra tutte le cose che hai fatto?
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Nel 2020 ho avuto lâonore di cantare per il concerto dei 105 anni dalla nascita di del Monaco, ho cantato tante volte anche in memoria del grande Franco Corelli, di Giuseppe di Stefano, ho cantato in onore di Beniamino Gigli e queste sono cose che mi fanno venire letteralmente la pelle dâoca. Pensare di aver cantato per questi nomi mi fa sentire come se avessi fatto qualcosa di bello, ma soprattutto è bello aver avuto lâoccasione di onorarli, loro che hanno fatto la storia della lirica.
Io sento il dovere civico e culturale di rispettare e salvaguardare questi grandi. Eâ necessario per me onorare questo passato.
Non esiste un modo diverso di affrontare lâopera.
Di Loredana Atzei