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Note domenicali n° 2 (28-08) "Nabucco all'Arena, un esordio da coprotagonista" - di Gianluca Macovez

2022-08-28 01:01

Gianluca Macovez

Musicologia generale, Storia della Lirica, Curiosità, opera, verdi,

Note domenicali n° 2 (28-08) "Nabucco all'Arena, un esordio da coprotagonista" - di Gianluca Macovez

Il racconto curioso e divertente di una serata all'Arena dalla penna di Gianluca Macovez per il secondo appuntamento con la rubrica Note Domenicali

 

 

 

 

 

Dopo aver parlato per un anno della Carmen che avevo visto in Arena, provocando veri e propri shock anafilattici negli sventurati cui dettagliavo i particolari di un evento del quale a loro non poteva importare meno, i miei solidificarono la mia passione portandomi a Verona nel 1971 a vedere Nabucco ed Aida.

Mi intrigava moltissimo la vicenda del re babilonese, che avevo studiato a scuola, a dottrina, di cui avevo sentito il coro. Insomma l’attesa era gigantesca.

Un po’ perché, ripensandoci adesso, ero chiaramente un bambino problematico, un disadattato che invece che andare a giocare a calcio con gli amici, passava i pomeriggi giocando felice con i ciuffi d’erba, fingendo che fossero i personaggi delle opere di cui avevo appena letto la trama.

Un po’ perché finalmente la storia era sufficientemente nota per non essere del tutto incompreso nei miei soliloqui.

Infine perché il cast era veramente notevolissimo ed ovviamente mi ero da mesi attivato per conoscere il più possibile dei cantanti.

Protagonista il grandissimo Corneil Mac Neil, che mi emozionò, riuscendo ad umanizzare il crudele re babilonese.

Un baritono prezioso, per quel che mi riguarda. Capace di coinvolgermi con grande potenza, forte di uno strumento sicuro, che correva potente negli spazi dell’Arena, ma anche molto intenso scenicamente.

Amava una gestualità vistosa, che probabilmente oggi detesterei, ma non dimentichiamoci che gli spazi veronesi costringono a forzare la recitazione per renderla fruibile ad un pubblico disseminato in uno spazio realmente gigantesco.

Abigaille era Luisa Maragliano, cantante elegante, dalla vocalità sicura, capace di affrontare ruoli di grande spessore senza che la voce ne risentisse, amatissima dal pubblico. Per dieci anni, dalla metà degli anni Sessanta, alla Scala aveva cantato in opere come Aida, Luisa Miller, Trovatore, Attila e Mosè.

Al grande successo non risponde la dovuta attenzione oggi, ma questo sembra il destino degli artisti che non hanno siglato grandi accordi con le case discografiche o che hanno dedicato il loro tempo ai pentagrammi invece che a solleticare il gossip.

Per la prima volta ascoltai una delle più belle voci di basso incontrate in questo mezzo secolo abbondante: Bonaldo Giaiotti, artista sensibile ed attento, capace di dare autenticità e personalità ad ogni personaggio che portava in scena, coinvolgendo il pubblico in un racconto struggente, trovando nella voce colori intensi e regalando attimi di commozione reale.

Ma non basta: brillarono il giovane Ruggero Bondino, altra voce ingiustamente e velocemente rimossa dall’attenzione della stampa ed una regina come Luisa Nave, allora ancora Bordin, mezzosoprano che mi è sempre piaciuta, sia per la inossidabile tecnica, sia per la rara capacità di essere riconoscibile in ogni occasione, senza che questo andasse a penalizzare l’interpretazione sempre credibile e non scontata.

Sta di fatto, però, che avevo solo otto anni.

Ostinato, determinato, logorroico, appassionato, ma fortunatamente umano.

La trasferta veronese era sempre piuttosto faticosa, perché è vero che prevedeva due giorni con un pernottamento, ma vuoi il fatto che in entrambe le giornate era previsto un rientro alle prime ore dell’alba; vuoi che la sera prima, alla rappresentazione dell’Aida era seguita una lauta libagione a colpi di trippa per le vie vicine a Piazza Bra; vuoi che lo spettacolo con le scene di Casarini, di cui anni dopo avrei realizzato un teatrino proprio di questo allestimento per il Museo Civico di Pordenone, era bellissimo ma non proprio agevolissimo nei tempi dei cambi di scena, ad un certo punto la palpebra cedette.

Addormentato, proprio nella terza parte dell’opera.

Ero andato in letargo.

Un sonno profondo, di un bambino distrutto anche dall’attesa per quella pagina corale di cui mi avevano parlato per giorni e sulla quale mi ero documentato in modo esagerato.

Ovviamente i miei si resero conto che se mi fossi perso il momento topico dello spettacolo al risveglio mi sarei prodotto in un pianto imbarazzante ed incontenibile e decisero di tentare il risveglio del giovane pachiderma.

Mio padre provò prima con un piccolo scossone, ma non raccolse risultati apprezzabili.

Ci voleva altro che una pacchetta educata.

Sotto voce, molto sottovoce, sussurrò - Gianluca, sveglia, c’è il coro! - Imperterrito continuai a dormire profondamente.

Ormai il rischio che mi perdessi l’intero brano era concreta e riprovò.

Questa volta risposi, mugugnando ad occhi rigorosamente chiusi che stato ascoltando.

Mentivo ed era più che chiaro.

Il padre affettuoso insistette ed ecco che al terzo tentativo, ebbi il mio momendo di gloria: i presenti, accanto ad un pregevole coro che cesellava le note della grande preghiera con grazia assoluta, ascoltò un mio urlo disumano che latrava alla luna: - Sono sveglio!-

Oltretutto mentendo.

Posso vantare nel mio curriculum di essere stato zittito da trentamila persone indignate e furiose.

Quella sera il ‘Va Pensiero’ venne replicato.

Sicuramente lo hanno fatto ad ogni rappresentazione, ma in questo caso era doveroso, visto il piccolo disturbatore.

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La locandina dello spettacolo

 

Alcune biografie degli artisti citati

Luisa Maragliano

 

La signora Maragliano esordisce ventiquattrenne a Genova nel Parsifal. L’incontro importante non è tanto con il compositore tedesco, che frequenterà poco , quanto con il direttore d’orchestra Tristano Illersberg, figlio del compositore Antonio, con cui si sposerà, formando un coppia artistica di grande spessore .

Dotata ad una voce decisamente importante, ad una figura avvenente ed alle brillanti doti di attrice, affronta nel corso della lunga carriera ruoli di grande impegno, sia dal punto di vista musicale che scenico, cantando nei principali teatri italiani ed all’estero.

Grazie al potente strumento vocale si distinse anche in spazi aperti come l’Arena di Verona, dove si è esibita dalla fine degli anni Cinquanta ai primi anni Settanta, affrontando parti di grande spessore e distinguendosi in particolare come Aida ed Abigaille.

Il ruolo della schiava etiope fu il suo cavallo di battaglia, avendolo interpretato , si dice, oltre cinquecento volte.

Raccolse successi nei principali teatri, in Italia ed all’estero: Staatopere di Vienna, il Metropolitan, il Colon di Buenos Aires, l’opera di Chicago la videro protagonista di spettacoli importantissimi; alla Scala cantò per un decennio, dalla metà degli anni Sessanta e fu protagonista della Luisa Miller inaugurale nel 1969; fu presente al Massimo di Palermo ed al San Carlo di Napoli con continuità; cantò I Masnadieri a Firenze diretta da un giovane Riccardo Muti.

Amò particolarmente Verdi, del quale interpretò, fra le altre: Simon Boccanegra, Attila. Luisa Miller, Trovatore, La Traviata, Un Ballo in Maschera, La Battaglia di Legnano, I due Foscari, Ernani, Nabucco e, naturalmente, Aida

Non disdegnò Puccini, sempre in parti molto impegnative vocalmente: La bohème, Manon Lescaut, Tosca, Madama Butterfly Suor Angelica, Turandot  nella parte di Liù.

Dopo il ritiro dalle scene si è dedicata con successo all’insegnamento ed è tuttora molto attiva nella scena culturale.

Esistono numerose registrazioni, soprattutto dal vivo, che testimoniano il valore di questa magnifica interprete.

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Ruggero Bondino

Bondino è stato un tenore di notevole valore.

Nato in Friuli, regione che ha regalato alla lirica grandi talenti, nel 1930.

Iniziò a studiare canto ventunenne, ad Udine, sotto la guida di Ada Crainz.

Apprese le basi della tecnica si trasferì a Milano per continuare a studiare e nel 1957 debuttò, vinto un concorso, in Cavalleria Rusticana’.

Era un cantante con buone basi tecniche, una voce di rilevante bellezza, un acuto solido.

Aveva un repertorio decisamente vasto, visto che interpretò ben 47 titoli, con una certa propensione per la musica verdiana: portò in scena undici delle opere del Maestro di Busseto.

Nel 1965 cantò alla Scala la ‘Clitennestra’ di Pizzetti. Fu la consacrazione definitiva, che lo portò a calcare i principali palcoscenici del mondo, fino all’anno del ritiro, il 1985.

Lo ascoltai in diverse occasioni.

Dopo il Nabucco areniano, dove fu ottimo Ismaele, vennero nel 1973 a Trieste una magnifica edizione di ‘Nosse Istriane’, accanto a Maria Chiara ed un indimenticabile ‘Macbeth’, con protagonisti Mario Zanasi ed Angeles Gulin.

Nel primo titolo il tenore mise in evidenza la bellezza giovanile del timbro e la esuberanza, nel secondo, forse anche grazie alla regia di Pier Luigi Pizzi, trovò colori malinconici struggenti.

Due anni dopo fu diretto da Gianandrea Gavazzeni in ‘Falena’ di Smareglia. Protagonista una intensa Leila Gencer e lo spettacolo fu un trionfo per tutti.

Fu protagonista con Gabriela Cegolea di ‘Goyesca’s nel 1982. Uno spettacolo complesso, che nonostante le scene di Zigaina non riuscì , a mio parere, a centrare l’obiettivo, certamente per colpa del tenore.

Negli ultimi anni affrontò spesso, a Trieste il repertorio russo; in ‘Mazeppa’ nel 1979 e nel 1981, anche se forse patì un po’ lo strapotere scenico e vocale di Radmila Bakovecic, che in quel ruolo aveva poche rivali; l’anno successivo, in ‘Il Principe Igor’, accanto a Mariana Nicolescu e Paolo Washington; infine, ad un anno dal ritiro, nel 1984, in una affascinante ‘Kovancina’ con le irraggiungibili scene di Nicola Benois.

All’irruenza vocale non corrispondeva la tracotanza scenica e questo permise a Bondino di affrontare i ruoli con garbo, misura, in certi una discrezione che poteva sembrare timidezza.

In un mondo rutilante di primedonne colorate, l’educazione riesce ancora a brillare.

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Pino Casarini, scenografo areniano

 

Pino Casarini è stato una figura eclettica, che ha saputo unire imprenditorialità ed arte.

Nato a Verona degli ultimi anni del Ottocento, iniziò gli studi artistici in Veneto, ma il suo evidente talento gli fece vincere una borsa di studio che lo fece concludere la formazione a Milano.

Come pittore, al rientro dalla Prima Guerra Mondiale, raccolse ampi consensi, sia per le opere da cavalletto, che per i grandi affreschi degli edifici pubblici che per le vetrate di moltissime chiese. Dalla fine degli anni Venti la partecipazione a mostre personali e collettive fu costante, con diversi inviti alla Biennale di Venezia.

Per quel che mi riguarda, ebbi la fortuna di essere coinvolto nell’allestimento di alcune mostre a lui dedicate e questo comportò la realizzazione di un teatrino riproducente proprio la scenografie di Nabucco.

Questo permette di aprire una piccola parentesi.

La scenografia viene normalmente studiata some si farebbe con un quadro. Si discute su tecnica, composizione, verosimiglianza.

Ovviamente è tutto assolutamente sbagliato. Il bozzetto non è il lavoro finito, ma la traccia su cui gli scenografi realizzatori sono chiamati a lavorare.

Non a caso nell’Ottocento, ovvero al tempo di Verdi e Puccini, lo scenografo, per esempio i Bertoja, ideava e realizzava le scene.

Perché man mano che la scena viene tradotta in fondali, l’autore è chiamato a capire se gli effetti cui punta sono fattibili, se la costruzione prospettica tollera la presenza dei cantanti in scena, se certi suggestivi effetti pittorici possono essere realizzati o renderebbero risile gli spostamenti delle masse.

Per questo personalmente quando studio le scenografie realizzo spesso dei teatrini, per capire la scena come veniva organizzata, quale fosse la parte dipinta e quale quella costruita.

Dai teatrini vengono conferme e scoperte, come quando grazie ad una ricostruzione tridimensionale riuscii a ricostruire l’articolazione di uno spettacolo classico firmato da Francesco Chiarottini, sulla base di bozzetti distribuiti in musei lontanissimi fra loro e che non erano mai stati associati ad una stessa serata.

Insomma la scenografia unisce arte e manualità, poesia evocativa delle immagini e senso di concretezza.

Nel caso di Pino Casarini siamo davanti ad un Maestro assoluto, rapidamente rimosso dalla memoria collettiva, ma non per questo meno importante, in particolare per gli spettacoli all’Arena di Verona.

L’esordio avvenne nel 1930. Assieme ad Antonio Avena firmava le scenografie dei due titoli previsti quell’anno : ‘ Boris Godunov’, con Pinza, la Ticozzi e la Stignani e ‘ La Forza del Destino’, in un allestimento grandioso che raccolse il plauso del pubblico, che ascoltò Bianca Scacciati, Carlo Tagliabue, Francesco Merli.

Fu un successo, ma le scelte dell’Arena caddero, per diverse stagioni, su altri artisti.

Nel 1948 il ritorno in Arena, come scenografo ma anche e soprattutto come direttore del dispositivo scenico: l’anfiteatro era dotato di un nuovo sistema meccanico, realizzato dai cantieri navali Breda di Venezia ed ideato da Casarini ed Avena, esperti uomini di teatro.

Le opere cui lavora in quella stagione sono ‘Otello’, con Del Monaco e la Tebaldi e ‘Turandot’ con la Callas, titolo che lo scenografo riproporrà, con un nuovo allestimento nel 1954.

Nel 1955 un nuovo ‘Otello’, ma anche i soli costumi per il balletto ‘Giulietta e Romeo’, nel 1956 ‘Il Barbiere di Siviglia’.

Nel 1959 affronta ‘Faust’ , dove giganteggerà Cesare Siepi e nel 1960, finalmente, Pino Casarini si confronta con il titolo areniano per eccellenza: ‘Aida’ in una edizione di fuoriclasse, che contava su Maragliano e Stella per la protagonista, Simionato e Cossotto come Amneris, uno smagliante Bergonzi come Radames e Guelfi come Amonasro. La direzione era di Gianandrea Gavazzeni, che sigla una delle più interessanti edizioni di quel titolo nell’anfiteatro veronese.

Nel 1961 gli vengono affidate le scene per ‘Lucia di Lammermoor’, titolo evidentemente poco areniano ed ancora una volta si nota come Casarini garantisca una affidabilità ed una capacità di cogliere il gusto del pubblico fuori dal comune.

Altro spettacolo ‘rischioso’ era , nel 1965, ‘Norma’ .

Si temeva il fantasma della Callas e nonostante la grande personalità della protagonista, Leila Gencer, c’erano grandi ansie.

Il soprano turco affrontò la parte con grande professionalità, disegnando una sacerdotessa credibile ed originale e superò le difficoltà della partitura da par suo, ma certamente anche la sontuosa messa in scena allestita da Casarini ebbe il suo peso nel trionfo finale.

Quando si concretizza la possibilità di una ripresa televisiva di ‘Aida’, nel 1966, ancora una volta viene chiamato Casarini, che già aveva messo in scena il capolavoro anche nel 1963. Lo spettacolo, con un cast che prevedeva Gencer, Cossotto, Bergonzi, Giaiotti, Colzani ed era diretto da Franco Capuana, è documentato da una ripresa video, purtroppo incompleta perché la pioggia interruppe lo spettacolo.

L’addio all’Arena è con il ‘Nabucco’, un anno prima della morte,

A questa edizione, maestosa e raffinata, si riferiscono le foto del teatrino, che realizzai in occasione di alcune rassegne dedicate allo scenografo .

Casarini seppe cogliere con bravura sia il tema del potere e della ricchezza, rese con l’opulenza degli ori e dei bronzi, che venivano resi ora lucenti, ora opachi con un gioco di luci attento e non scontato, che quelli della libertà desiderata, pastellata a colpi di azzurro nelle massicce architetture costruite e dominate dal grande idolo, che alla fine crollava con un effetto teatrale di rara potenza scenica.

Una scenografia che non era decoro o spazio funzionale ben attrezzato, ma uno degli interpreti della vicenda narrata, come deve essere per un grande spettacolo.

 

Galleria - Immagini del bozzetto e particolari del modellino di scena di Nabucco

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Dulcis in fundo abbiamo ritrovato una registrazione del Nabucco areniano, Mac Neil e la Maragliano nel duetto ‘Donna chi sei’

Un interessantissimo contributo video dall'Arena di Verona, l’Aida con la scenografia di Casarini del 1966

di Gianluca Macovez

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