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Se alto è il numero di opere liriche ispirate dalla letteratura, non è così per quelle alla cui origine si trova l'arte visiva. Questo è però il caso di The rake's progress nata dopo che Igor Stravinskij ebbe osservato una serie pittorica di otto dipinti realizzata da William Hogarth, artista inglese, fra il 1731 ed 1735, che fu esposta nel 1947 al Chicago Art Institute.
La serie di Hogarth mostrava il declino e la caduta di Tom Rakewell, figlio ed erede di un ricco mercante che, giunto a Londra, dissipò il proprio capitale nel darsi ad una vita lussuriosa, alla frequentazione di prostitute e sale da gioco, fino ad essere imprigionato per debiti e terminare l'esistenza fuori di senno nel manicomio di Bethlem. Non è dato sapere se alla fascinazione ricevuta dai dipinti Stravinskij abbia unito la conoscenza delle trasposizioni del soggetto nel balletto di Ninette de Valois (1935) e nel film di Sidney Gilliat con Rex Harrison (1945). Certo è che, su consiglio di Aldous Huxley (quello dei Diavoli di Loudun, per intendere) il compositore individuò come librettista Wystan Hugh Auden, il quale, dopo aver definito il plot con il musicista, chiamò a far parte del progetto anche l'amico Chester Kallman. Nel marzo 1948 il testo fu pronto e tre anni dopo Stravinskij pose fine alla partitura. L'opera fu poi rappresentata alla Fenice di Venezia l'undici settembre 1951 con Stravinskij medesimo sul podio (non era un direttore straordinario) ed Elisabeth Schwarzkopf nel cast. In traduzione italiana il personaggio di Tom Rakewell fu per lungo tempo appannaggio di Mirto Picchi, fuoriclasse dell'interpretazione novecentesca. E a piè dei ricordi ho piacere di citare Maurizio Frusoni, Yasuko Hayashi, Claudio Desderi e Katia Kolceva Angeloni protagonisti della rappresentazione che si tenne al Goldoni di Livorno esattamente cinquant'anni fa (febbraio 1973).
Con The rake's progress Stravinskij compiva una ricognizione settecentesca, qualcosa di simile al processo creativo elaborato da Verlaine con le Fêtes Galantes rispetto a certi dipinti di Boucher e Watteau; l'opera è composta a pezzi chiusi con una partecipazione che in principio sembra cerebrale e che con lo scorrere delle scene diventa sempre più emotiva e commossa in connubio con il bel testo letterario che l'anima, ove nel delirio del protagonista Adone e Venere si sostituiscono agli umani.
Sotto il cupo cielo fiorentino questa produzione ancora una volta ha avuto una stella, Daniele Gatti. Il direttore milanese, come già in Œdipus rex lo scorso giugno, ha unito tecnica e sentimento, una lucidissima capacità d'analisi che nota dopo nota diventa catarsi.
Sotto il suo magistrale sostegno l'orchestra ha suonato meravigliosamente e il cast canoro, funzionale, ma non strepitoso, ha dato il meglio di sé. Matthew Swenden è un Tom Rakewell preciso e senza grandi abbandoni nella prima parte per poi trovare accenti estatici e stupefatti nel ricongiungimento alla catartica quiete purificatrice. Da Vito Priante, Nick Shadow, ci saremmo attesi accenti ancora più caustici, un taglio più corrosivo e beffardo del satanico servitore. Sara Blanch, la delicata e tenace Anna del Puro Amore, ha bei momenti nella bellissima aria "Quietly, night", ma forse la voce manca dell'astrale purezza che richiede la parte. Molto bene e con un physique-du-rôle prorompente Adriana Di Paola come Baba the Turk, al punto da costituire più una tentazione irraggiungibile che un ennui per il povero Tom. Solido e corretto il basso James Platt nei panni del padre di Anna, ottimo Christian Collia come Sellem, l'istrionico banditore d'asta, così come Marie-Claude Chappuis, Mother Goose e Matteo Torcato, Il guardiano del manicomio. Benissimo il coro diretto dal Maestro Lorenzo Fratini che non ci stancheremo mai di lodare. Rimane l'allestimento di Frederic Wake-Walker (sarà un discendente dell'ammiraglio omonimo che prese parte all'affondamento della Bismarck?) nel quale l'assorta scena del manicomio e i felici momenti legati a Baba equilibrano il meno efficace quadro arcadico d'apertura. Scene e costumi (belli questi) Anna Jones, luci Charlotte Burton, video, collage, animazioni, generazione di immagini AI, illustrazioni Ergo Phizmiz.
Daniele Gatti, tuttavia, rimane su un altro pianeta.
di Fulvio Venturi
credit photo: Sito ufficiale Maggio Musicale Fiorentino
Testo già apparso su Toscana eventi & News