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Recensione di ‘Anna Bolena’ di Donizetti in scena al Verdi di Trieste dal 19 al 28 gennaio 2024
Donizetti è autore di grandi partiture, spesso non abbastanza rappresentate .
Anna Bolena è certamente un titolo che meriterebbe di essere più conosciuto, ma non è semplice trovare un cast all’altezza della partitura, irta di difficoltà per tutti gli interpreti.
All’orchestra è richiesta grande eleganza, pulizia, sicurezza tecnica ed al direttore spettano l’individuazione della giusta chiave interpretativa, una corretta gestione dei volumi sonori, la capacità di sostenere i cantanti nelle grandi arie solistiche, nelle quali la strumentazione è ridotta al minimo , con una partitura che richiede misura ed eleganza al direttore d’orchestra, non semplice da gestire registicamente, perché i ruoli sono di grande spessore, vocale e scenico.
Non meno semplice è la regia, che deve raccontare una vicenda articolata, senza frammentare la narrazione, evitando i fantasmi dell’edizione scaligera firmata da Visconti con le scenografie di Nicola Benois, dare spessore drammaturgico a personaggi splendidamente descritti, ma che rischiano di soccombere sotto il peso della prova musicale.
Il Verdi con questa produzione ha sicuramente vinto la scommessa ed ha proposto uno degli spettacoli più riusciti di questi ultimi anni.
Peccato che il pubblico, crescente con il passare degli spettacoli, non abbia riempito ogni ordine di posti , cogliendo l’occasione di assistere ad una grande rappresentazione che, nonostante le tre ore e mezza di durata, scorreva appassionante e senza cali di tensione.
Partiamo proprio dall’aspetto visivo.
La regia, ripresa come già nel 2012 da Stefano Trespidi, portava la firma di Graham Vick.
Un allestimento già visto ma che il tempo ha reso ancora più efficace e raffinato.
Una pedana mobile, strutturata su più livelli, accompagna con la sua rotazione le vicende della sventurata regina, che nel finale arriverà in prossimità della platea, quasi che Anna cercasse conforto e forza.
Gli elementi scenici sono pochi e più volte ricorrenti: una parete finestrata ed un setto divisorio con una porta, entrambi trasparenti; un letto storto, realizzato in metallo, quasi metafora della sua scomodità morale; delle candele incorniciate da rami che sembrano pali di cervo, un pugnale ciclopico e poco di più.
La storia portata in scena della corte inglese ha più i profumi che i luoghi e questo condente di entrare in una dimensione suggestivamente metafisica.
La vicenda si fa universale, drammaticamente toccante, senza leziosismi e citazioni folcloriche.
Pregevole il lavoro fatto sui ruoli, che vengono cuciti addosso alle caratteristiche degli interpreti, pur in un piano generale ben chiaro.
Fermo restando l’apprezzamento per il lavoro registico, qualche perplessità fa capolino nel corso dello spettacolo.
Incomprensibili e francamente inutili le figure che appaiono durante l’ouverture .
Che siano la sequenza delle spose di Enrico VIII od i momenti della vita di Anna Bolena oppure che abbiano qualsiasi altra interpretazione, di fatto distraggono da un momento musicale bellissimo, che certo non ha bisogno di un sostegno visivo, per di più criptico.
Le due interpreti di Anna Bolena interpretano il primo atto senza la ferma autorevolezza ed il carisma di una regina. Certamente è una scelta che non va loro attribuita ma una decisione registica, anche in questo caso non semplice da capire e certamente non gratificante per le cantanti.
Nella visione complessiva, però, si tratta di poche pennellate in un affresco complessivo riuscito, che appassiona, coinvolge, commuove.
Uno spettacolo che certamente verrà ricordato, anche per l’apporto di Paul Brown, collaboratore affidabile di Vick per oltre quindici anni, autore di scene e dei magnifici costumi, citazione attenta e puntuale di alcuni importanti dipinti, ma anche elemento capace di adattarsi ad ognuno degli interpreti, senza schiacciarne la personalità ed appannarne le caratteristiche-
Musicalmente l’orchestra risponde molto bene alla lettura raffinata di Francesco Ivan Ciampa.
La sua è stata una direzione caratterizzata dall’eleganza del gesto, la misura, la ricerca di purezza ed essenzialità.
Ha saputo dare il giusto impulso alle grandi pagine orchestrali e nei complessi pezzi d’insieme, ma anche sostenere con bravura gli interpreti nei tanti momenti solistici, dei quali ha saputo mettere in evidenza i pregi ed ha sostenuto le caratteristiche.
Abilissimo nel calibrare il volume del suono, ha trovato colori intensi e mai scontati per la vicenda della sfortunata regina ed è riuscito ad evitare la pericola trappola di tenere troppo presenti i modelli del passato, puntando alla pulizia esecutiva, elegante e raffinata, ma anche alla tensione narrativa, che non ha mai avuto cedimenti o momenti sottotono.
Non a caso, nonostante la grande performance dei cantanti, al direttore è stata tributata l’ovazione più vasta.
Il coro , diretto da Paolo Longo è stato, nonostante qualche criticità iniziale del settore maschile, di grande suggestione, in particolare negli interventi nel secondo atto, perfino commoventi.
Per quel che riguarda le voci, sicuramente i due cast sono stati frutto di un lavoro di selezione mirato e riuscito.
Va anche anticipato che sicuramente non è un caso che moltissimi degli interpreti abbiano avuto per insegnati dei grandi interpreti, che si fecero notare non solo per la loro tecnica solidissima, ma anche per la capacità di dare spessore ai ruoli che portavano in scena, dote che evidentemente hanno saputo trasmettere: per far qualche nome Cinzia Forte, peraltro Anna Bolena della precedente edizione triestina; Francesco Signor e Rosetta Pizzo, protagonisti di spettacoli rimasti come pietre miliari della storia della lirica; la luminosa Lucia Mazzaria, interprete mai scontata e padrona di una tecnica che le permise di essere, una delle poche, autorevole come Liù e come Turandot; il glorioso mezzosoprano Cinzia De Mola, giustamente amatissima dal pubblico triestino.
Quasi un passaggio di testimone, sancito da un successo franco e meritato, quasi a dimostrare ancora una volta che se si vuole salvare il mondo dell’opera bisogna credere più alla passione che alle grandi agenzie.
Nicolò Donini, un Lord Rochefort dalla figura aitante e la recitazione appropriata, ha una voce dal colore particolare, molto personale, che, individuato il giusto repertorio, gli permetterà di costruire personaggi interessanti e ben più onerosi del fratello di Anna Bolena.
Andrea Schifaudo nel ruolo di Sir Hervey, si è dimostrato ancora una volta un interessante voce di tenore, credibile dal punto di vista scenico, affidabile musicalmente. Siamo davanti ad un cantante in continua crescita , in grado di sostenere con successo parti di primo piano, come nel recente ‘Flauto Magico’, ma anche di affrontare ruoli secondari con passione e professionalità apprezzate.
Veta Lipipenko è stata un convincente Smeton, grazie ad una vocalità brunita ed interessante, una facilità nei passaggi ed acuti potenti .
Sontuoso Riccardo Fassi come Enrico VIII.
Dotato di voce ampia per estensione, omogenea , ricca di sfumature , ha brillato anche per gli acuti stentorei.
Drammaturgicamente il suo era di volta in volta un monarca cinico, un uomo dalla forte sensualità nelle scene con Giovanna nel primo atto, un re determinato e vendicativo verso la Bolena, un viscido doppiogiochista, ed un calcolatore.
La figura elegante gli permetteva di esaltare le caratteristiche dei ricchi costumi, quasi degli elementi scenici, metafora di un potere che alla fine schiaccia le persone, all’apparenza colorato e vivace, spietato e freddo nei fatti.
Il ruolo di Percy è quantomai complesso.
Donizetti costruisce per i tenori pagine bellissime, ma richiede loro una solida tecnica, purezza vocale, attenzione alla parola, intelligenza scenica.
Doti che non mancano a Marco Ciaponi, tenore interessantissimo che si dimostra cantante donizettiano d’elezione: colore elegante, estensione ampia, acuti sicuri e taglienti come lame, mezzevoci raffinate, sovracuti brillanti, recitativi inappuntabili.
La parte è lunghissima, ma non appaiono segni di affaticamento o di sforzo, a dimostrazione di un lavoro di preparazione solidissimo.
Il personaggio è reso nella tavolozza delle sfumature, dall’amore alla rabbia, dalla supplica all’orgoglio, riuscendo a coniugare la purezza del canto con le richieste drammaturgiche e regalandoci pagine memorabili come ‘Da quel dì’ , commuovendo senza mai ostentare .
Nelle recite si è alternato nel ruolo Francisco Brito, che ha mostrato di avere molte delle note richieste dalla partitura, uno strumento potente, ma anche, almeno nella recita cui abbiamo assistito, di spingere troppo, forzando il suono che in certi momenti sembra andare indietro.
Nel corso della serata è andato migliorando, riuscendo a calibrare meglio l’emissione nei pezzi d’insieme, risultando sempre meglio inserito.
La Seymur è stata inerpretata da Laura Verrecchia ed Alessia Nadin.
La prima è un mezzosoprano dall’ampia estensione, acuti sicuri ed una grande personalità che le hanno permesso di calarsi completamente nel personaggio: la sua è una Giovanna dalle tante sfaccettature, che si trasforma man mano che l’opera procede.
Dama attenta ed umile, amante sensuale, giovane donna provata dal rimorso, vittima a sua volta della volontà di Enrico, per ogni momento è in grado di offrire il giusto colore, la sfumatura più adatta , riuscendo, nonostante il volume imponente, a non essere mai sopra le righe, mai eccessiva.
Abbellimenti e virtuosismi sono stati superati senza difficoltà ed il colore brunito della voce ha permesso alla Verrecchia di distinguersi non solo nelle grandi pagine solistiche, come ‘Per questa fiamma indomita’, ma anche nei duetti, sia con la regina che con Enrico VIII
renda credibile, grazie ad una voce di grande fascino, una estensione notevole, una tecnica sicura.
Il volume è decisamente imponente, ma gestito con sapiente dosaggio , in modo da non risultare mai eccessiva o strabordante.
Di grande presa i due duetti con Enrico VIII, nei quali sa tratteggiare prima una componente passionale intensa, poi lo scontro fra le sue richieste di pietà per l’avversaria e l’intransigenza regale.
La Nadin è una Giovanna diversa vocalmente e scenicamente, ma comunque credibile. Sicura negli acuti, mostra una sua voce che brilla particolarmente nella zona alta, piuttosto che nelle note basse ed i colori ambrati.
La sua Seymour è una donna che viene scelta da Enrico VIII e che si ritrova a subire le vicissitudini della vicenda, quasi un alter ego della Bolena, come anche le similitudini vocali che emergono nei duetti con la Cortellezzis suggeriscono.
Eccoci dunque alla coppia di interpreti che affronta il complesso ruolo di Anna Bolena: Salome Jicia e Sara Cortellezzis.
Una prima importante considerazione è quella, già anticipata, che dal confronto emerge evidente che alcune scelte interpretative, come la poca autorevolezza regale, non sono da attribuirsi alle interpreti.
Questo mitiga fortemente le osservazioni critiche sulla loro prova e concentra l’attenzione sul secondo atto, che è stato molto buono per entrambe.
La Jicia è voce interessante, che forse farebbe bene a scegliere un repertorio nel quale specializzarsi. Sta passando dal contemporaneo al primo Verdi, da Desdemona a Donizetti e questo potrebbe pregiudicare, alla lunga, i risultati.
Dopo un primo atto nel quale non brilla per corposità di suono, nella lunghissima scena finale, mette in luce raffinati filati, sicure mezzevoci e pianissimi di grande fascino che le consentono di raccogliere un ampio consenso.
Certamente il personaggio meriterebbe una riflessione, perché tanto è struggente ed intensa la sua
‘Al dolce guidami’ , tanto appare guerresca ‘Coppia iniqua’, in un gioco di dissonanze forse volute, ma piuttosto forzate.
La Cortellezzis non ha una voce non particolarmente potente, ma corre bene, è ricca di mezzevoci, pianissimi eleganti, filati preziosi e sa regalare un finale lunare, con una Bolena che pare una bambola di porcellana , dallo sguardo assente, la carnagione lattea e l’abito che sembra un ombra mortifera che la perseguita.
Straniata e straziante in ‘Al dolce guidami’, cesella una credibile invettiva in ‘Coppia iniqua’, risolta con intensità vocale e scenica.
Alla fine , applausi copiosissimi per tutti gli interpreti, con ovazioni per il maestro Ciampa .
Uno spettacolo che fa sperare in una svolta definitiva per le sorti del teatro triestino.
Trieste, Teatro Giuseppe Verdi, stagione d’opera e balletto 2023-24
“ANNA BOLENA”
Tragedia lirica in due atti su libretto di Felice Romani
Anna Bolena Salome Jicia (21.1.24) / Sara Cortellezzis (27.1.2024)
Lord Riccardo Percy Marco Ciaponi (21.1.24) / Francisco Brito (27.1.2024)
Giovanna di Seymour Laura Verrecchia(21.1.24) / Alessia Nadin (27.1.2024)
Enrico VIII Riccardo Fassi
Smeton Veta Pilipenko
Lord Rochefort Nicolò Donini
Sir Hervey Andrea Schifaudo
Orchestra, Coro e Tecnici della Fondazione Teatro Lirico Giuseppe Verdi di Trieste
Maestro Concertatore e Direttore Francesco Ivan Ciampa
Maestro del coro Paolo Longo
Regia Graham Vick
Regista collaboratore Stefano Trespidi
Scene e costumi Paul Brown
Allestimento in coproduzione tra la Fondazione Arena di Verona e la Fondazione Teatro Lirico Giuseppe Verdi di Trieste
Trieste, 21 e 27 gennaio 2024
credit photo: F. Parenzan