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‘I Capuleti e i Montecchi’ era un titolo molto popolare a metà dell’Ottocento a Trieste: allestito sette volte, con tanto di partecipazione di Strepponi e Grisi, dal 1831 al 1853, dopo questi trionfi cadde in un lunghissimo silenzio, che lo riportò in scena solo nel 1974 con un cast che brillava di una Ricciarelli al pieno del suo mezzo vocale come Giulietta, il troppo poco ricordato Veriano Luchetti come Romeo, secondo un costume oggi abbandonato di affidare la parte ad una voce maschile invece che al registro mezzosopranile, ma anche i prestigiosissimi Casellato Lamberti, Rinaudo e Salvadori.
Dopo quasi cinquanta’anni il titolo ritorna al Verdi, in un allestimento conosciuto ma ricco di spunti, che vede il coinvolgimento della fondazione Arena di Verona, il Teatro La Fenice e la Greek National Opera.
La regia di Arnaud Bernard presenta una lettura metateatrale, piuttosto originale, anche se non del tutto inedita, perché ricordavamo una simile collocazione per una edizione de ‘La Battaglia di Legnano’ firmata da Cappuccio una decina di anni: l’opera viene ambientata in un Museo chiuso per ristrutturazione. I personaggi escono dai quadri, si aggirano per le stanze, non visti dagli operai, ostentando poste che rimandano alle figure che popolano i dipinti di Hayez, tanto amato al tempo di Bellini.
Una idea portata avanti con una coerenza che spiega alcune forzature nei movimenti, una gestualità quasi da cartone animato, una ostentazione di atteggiamenti da dive del cinema muto, in una celebrazione dello stereotipo, che viene superato proprio attraverso la sua esasperazione.
Una scelta di questo tipo rinuncia all’approfondimento dello spessore dei personaggi e concretizza situazioni nelle quali è difficile capire cosa sia cercato e cosa sia frutto di una certa maniera.
Alcuni passaggi, particolarmente intensi avrebbero guadagnato drammaturgicamente da un superamento della posa a favore di una più autentica partecipazione, ma queste sono opinioni del tutto personali e per questo irrilevanti.
Di grande suggestione la chiusura dello spettacolo, che riporta Capuleti e Montecchi dentro un gigantesco quadro, stigmatizzando una unanime condanna per il padre di Giulietta e sublimando la scelta della metateatralità.
Piacevoli le soluzioni sceniche di Alessandro Camera, molto suggestivi i bei costumi di Carla Ricotti , ricchi di attente e suggestive suggestioni pittoriche, mentre meno chiare sono le ragioni di alcune scelte delle luci da parte di Paolo Mazzon.
Il coro, diretto da Paolo Longo, si muove con esuberanza vocale e grande sicurezza scenica, confermandosi uno dei punti di forza del teatro.
Il Maestro Enrico Calesso, raffinato conoscitore di Bellini, ha saputo guidare con mano decisa l’orchestra del Verdi, nella quale si facevano notare le prime parti di Paolo Rizzuto (corno), Marco Masini ( clarinetto) e Matteo Salizzoni (violoncello).
Il direttore ha proposto una suggestiva ed attenta lettura della partitura, con tempi sontuosi, dando prova di una attenta intesa con gli interpreti nei passaggi più complessi che gli permette di tratteggiare una narrazione ricca di sfumature, con frequenti momenti di forte intensità emotiva.
Si alternavano due cast, sostanzialmente all’altezza della situazione.
Due interpreti sono presenti in entrambe le compagnie: Cordaro e Ciaponi.
Emanuele Cordaro è Lorenzo. Vocalmente appropriato ed elegante in scena, riesce a dare il giusto peso drammaturgico a questo ruolo nonostante le corse che la regia gli impone in giro per il palcoscenico.
Marco Ciaponi interpreta la parte ingrata, breve ma vocalmente insidiosa, di Tebaldo.
La sua è stata una prova coraggiosa, perché con le prove generali ha cantato cinque giorni di seguito e complessivamente otto volte in dodici giorni, senza cedimenti, con una resa costantemente brillante ed una generosità vocale che hanno entusiasmato il pubblico.
Il giovane tenore di grazia, nette in evidenza un mezzo vocale dal timbro limpido, un acuto squillante, un colore molto interessante, unite ad una apprezzata sensibilità interpretativa che gli consentono di tratteggiare la figura di un giovane uomo realmente innamorato, sincero e per questo ancora più struggente.
Una prova elegante, di grande sentimento, con la giusta misura, come richiederebbe sempre Bellini, senza esibizionismi vocali fuori luogo, ma una solida tecnica posta al servizio dell’interprete, che esce a testa alta dalla prima aria ‘È serbata a questo acciaro’ ed anche dalla successiva ‘L’amo tanto’ resa attraverso un attento lavoro sulla parola, che piega il suono, senza mai sacrificarlo, ad una coinvolgente e raffinata narrazione drammatica.
Certo il peso del suo ruolo cambia con il mutare delle interpreti di Romeo: nella prima compagnia si confronta la solida ed autorevole Laura Verrecchia, che equilibra con fermezza l’impatto vocale del tenore mentre nella seconda, con a fianco una differente mezzosoprano con caratteristiche vocali differenti, Ciaponi, quasi suo malgrado, è decisamente in maggiore risalto.
Gli altri ruoli vedono alternarsi più interpreti.
Capellio è interpretato da Paolo Battaglia e da Viktor Shevcenko.
Il primo risulta affidabile anche quando la voce appare un po’ affaticata, mentre il secondo palesa una difficoltosa dizione ed una gestualità forzata
Laura Verrecchia, titolare della prima compagnia, regala un Romeo di grandissimo spessore:
un giovane spavaldo e sicuro di sé, innamorato e determinato, pronto allo scontro, ma anche capace di momenti struggenti .
Per riuscire a descrivere una simile varietà di situazioni, sono necessarie grandi capacità sceniche, una intensa capacità di calarsi drammaturgicamente nel ruolo, acuti sicuri e smaglianti, fiati notevolissimi , un solido centro, una tecnica inossidabile che permetta anche di reggere la lunghezza della parte . Tutte qualità che la Verrecchia possiede ed utilizza con sicurezza, senza ostentazione, e con quel gusto che riesce a mettere in evidenza la grandezza della partitura belliniana.
Unica osservazione sul suo personaggio è che una barba posticcia od una forzatura del trucco avrebbero potuto nascondere l’avvenenza del volto del mezzosoprano, aiutando a rendere più credibile la figura en travesti.
Nel secondo cast ha cantato Sofia Koberidze.
La giovane cantante può contare su una voce con un bel colore, anche se decisamente muliebre; una grande determinazione; una apprezzata professionalità; una piacevole figura; una tecnica adeguata; tutte doti che fanno presagire un futuro di successo.
Certamente in questo momento, però, il ruolo del Montecchi la sovrasta vocalmente, mettendo a dura prova il suo registro, che scendendo perde in consistenza, mentre nelle note alte rivela delle asperità.
Sicuramente una maggior dimestichezza con la parte avrebbe aiutato a superare quel comprensibile timore reverenziale per la partitura, che sembra vincolarla alla volontà di rispettare quanto più possibile la correttezza vocale e penalizza l’interpretazione.
Nel ruolo di Giulietta due soprano all’altezza della situazione.
Caterina Sala è stata una Giulietta intensa, che non cade nella trappola dell’esibizione virtuosistica, nonostante le grandissime abilità vocali che le permettono di risolvere senza difficoltà le pagine più complesse. Riesce a tratteggiare, anche grazie ad un colore vocale di vibrante intensità, la figura di una giovane donna combattuta negli affetti, che proclama il suo diritto ad esistere ed a decidere per la sua vita. Commuove nella supplica al padre, coinvolge nella passione amorosa , dimostra la modernità di una figura interessante e mai scontata. La sua sembra una sorta di narrazione parallela, ma perfettamente integrata, alla storia messa in scena da Bernard, quasi a liberare la fanciulla da maschere e stereotipi ed esaltare il senso profondo della storia personale rappresentata.
Una situazione completamente diversa da quella dell’altra compagnia, nella quale il minor vigore vocale del Montecchi fa emergere una Giulietta determinata, che cerca un rapporto con un padre irrimediabilmente autoreferenziale, che rifiuta le profferte amorose di un affettuoso Tebaldo, che sceglie e pare guidare un Romeo aitante ma poco incisivo.
Olga Dyadiv, dopo una recente e discutibile incursione pucciniana, ritorna al repertorio ottocentesco, che le è più congeniale e ci regala una interpretazione intensa, grazie ad una ricca tavolozza di sfumature che accarezzano una voce che affronta e supera con bravura le difficoltà che ingemmano questo ruolo anche grazie anche ad una bella sintonia con la buca dell’orchestra.
In definitiva ‘I Capuleti e i Montecchi’ è stato uno spettacolo assolutamente riuscito, che premia il tentativo del teatro di dare una svolta alla programmazione, osando titoli meno conosciuti ed allestimenti interessanti e coraggiosi, che riportino il Verdi sulla strada degli antichi fasti e che avvicinino al teatro un pubblico più giovane.
Il pubblico presente, sempre più numeroso nel corso delle repliche, ha tributato applausi convinti a tutti gli interpreti con innumerevoli chiamate in scena ed acclamazioni entusiastiche per Verrecchia, Sala e la Dyadiv.
Trieste, Teatro Giuseppe Verdi, stagione d’opera e balletto 2022 23
“I CAPULETI E I MONTECCHI”
Tragedia lirica in due atti Libretto di Felice Romani
Musica di Vincenzo Bellini
Personaggi e interpreti
Giulietta CATERINA SALA / OLGA DYADIV
Romeo LAURA VERRECCHIA / SOFIA KOBERIDZE
Tebaldo MARCO CIAPONI
Capellio PAOLO BATTAGLIA / VIKTOR SHEVCENKO
Lorenzo EMANUELE CORDARO
Orchestra Coro e Tecnici della Fondazione Teatro Lirico Giuseppe Verdi di Trieste
Maestro concertatore e direttore Enrico Calesso
Maestro del coro Paolo Longo
Regia Arnaud Bernard
Scene Alessandro Camera
Costumi Carla Ricotti
Luci Paolo Mazzon
ALLESTIMENTO DELLA FONDAZIONE ARENA DI VERONA IN COPRODUZIONE CON LA FONDAZIONE TEATRO LA FENICE DI VENEZIA E CON LA GREEK NATIONAL OPERA
Trieste, Teatro Giuseppe Verdi, 26 febbraio e 4 marzo 2023